Archives
Rompere l’isolamento: scriviamo alle compagne e ai compagni colpiti dalle recenti azioni repressive a Torino e Trento
In questi ultimi mesi ed in particolare da quando si è insidiato al Ministero degli Interni Matteo Salvini sembra di essere ritornati agli anni ’80 quando le case e le sedi dei compagni erano definite “covi”, gli amici e i compagni di lotta definiti “fiancheggiatori” e le relazioni politiche tra compagni si trasformavano in “organizzazioni”. Azioni di polizia in grande stile, militarizzazione dei territori, perquisizioni a tappeto, durante le recenti inquisizioni a Torino e Trento, hanno portato tanti compagni e compagne nelle carceri italiane accusati di 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo) e 280 bis (attentati con finalità terroristiche e di eversione).
Alcuni compagni hanno scritto: “Non abbiamo risposte semplici. Ma alcune buone domande.
Si può cambiare questo stato di cose senza lottare? Si può lottare senza rischiare? Le condizioni per cui valga la pena rischiare matureranno mai da sole? Intanto, che facciamo? Da più parti si strilla al fascismo per le politiche di Salvini. E poi? Si inorridisce per un botto alla sede della Lega? Avanti. Che ognuno ci metta del suo, perché qualcuno non debba metterci tutto.”
Blocco stradale: applicato per la prima volta il DL Salvini a Bari
Il DL Salvini trasformato in legge con voto di fiducia martedì 27 novembre dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle (e con il supporto di Forza Italia e Fratelli d’Italia) è stato immediatamente applicato a Bari al termine del corteo antifascista in memoria di Benedetto Petrone, ucciso dai fascisti nel 1977.
Ieri verso le 12.30, 3 attivisti di Ex-Caserma Liberata sono stati convocati presso la questura di Bari per la notifica di una denuncia per manifestazione non autorizzata, vilipendio delle forze armate e per blocco stradale (violazione dell’Art.1 del d.gls 22 gennaio 1948, così come modificato dall’Art.23 del decreto legge n°113 – 4 ottobre 2018).
Al di la delle risibili motivazioni che hanno portato al questura di Bari ad emettere un tale provvedimento quello che è evidente a tutte e tutti è la volontà politica di mantenere un clima di tensione e di alimentare un’ondata repressiva affinché la popolazione desista dall’organizzare proteste e reclamare diritti.
Agguato poliziesco contro le attiviste di Non una di meno – Bari
Ieri sera eravamo in piazza a Bari al fianco di compagne e attiviste di Non una di Meno – Bari e alle centinaia di donne che hanno manifestato per le strade della città contro lo sfruttamento dei lavori imposti, gratuiti, non pagati e sottopagati, contro il patriarcato e la violenza maschile.
Sciopero globale delle donne – Bari
Un corteo partecipato e chiassoso che ha attraversato le strade del quartiere Libertà tra interventi, musica e cori. Durante il corteo tantissimi interventi tra i quali si è alzata forte la voce solidale nei confronti delle popolazioni di Afrin così come nei confronti di Lavinia, Maya e di tutte le donne che subiscono la repressione poliziesca o come troppo spesso accade, donne vittime della violenza omicida di uomini appartenenti alle forze dell’ordine come i recenti casi di cronaca hanno purtroppo confermato.
“Celerino che sei venuto a fare, a casa ci sono i piatti da lavare”
Terminato il corteo ed andati via praticamente tutti e tutte, di fatto gli ultimi a lasciare la piazza, ci mettiamo alla guida verso altri lidi quando dopo alcuni isolati notiamo due macchine della Digos ferme in mezzo alla strada e scorgendo la testa vediamo 6 compagne e altrettanti uomini della Digos sul marciapiede. Lasciamo la macchina e scendiamo in strada anche noi.
Istituto De Nittis a Bari: la repressione sugli studenti si fa armi alla mano
La notte fra domenica e lunedì 18 dicembre la vigilanza privata dell’istituto De Nittis ha minacciato di morte e puntato la pistola in faccia ad attivisti ed attiviste dei collettivi studenteschi durante un tentativo di occupazione. Non si tratta di un incidente, ma dell’intenzione premeditata della preside Irma D’Ambrosio di assoldare una guardia giurata armata a difesa della struttura scolastico proprio con il fine di scongiurare le mobilitazioni studentesche. Dopo la mezzanotte un gruppo di studenti si dirigeva verso l’entrata dell’istituto con l’intenzione di occupare la scuola accedendo a volto scoperto verso l’entrata principale. Fuori, una guardia giurata, all’interno di una macchina privata, dopo aver suonato il clacson per intimorirli, è uscita furiosamente dall’auto munita di pistola e senza neanche essersi dichiarata come un addetto alla sicurezza ha puntato l’arma ad altezza volto, caricandola e minacciando di sparare, addirittura inseguendo i ragazzi scappati via in seguito alla minaccia. Nella corsa una ragazza si è ferita gravemente ed è stata successivamente portata al Pronto Soccorso.
Questa versione dei fatti trova concorde la totalità degli studenti e delle studentesse del De Nittis, mentre non coincide con la versione dei fatti della preside e dell’istituto di vigilanza che negano l’utilizzo della pistola.
Quella che segue è una delle molte testimonianze che sono state diffuse, da parte di una studentessa del Liceo Artistico De Nittis: «(la guardia) Dopo aver suonato il clacson per intimorirli, esce furiosamente dall’auto munito di pistola, senza neanche essersi dichiarato come un addetto alla sicurezza; punta l’arma ad altezza volto, caricandola e minacciando di sparare, così rincorre i ragazzi che giustamente di fronte al pericolo sono scappati. Nella corsa una ragazza è caduta tagliandosi gravemente la mano ed è stata successivamente portata al Pronto Soccorso; altri ragazzi si sono provocati danni lievi, suggerendo all’agente di riporre l’arma senza ottenere risultati.»
L’eco dei fatti incresciosi raccontati dai ragazzi del De Nittis ha raggiunto anche il plesso Pascali dell’istituto artistico, sul lungomare Vittorio Veneto dove studenti e corpo docente hanno avviato uno sciopero bianco per dimostrare solidarietà nei confronti dei ragazzi aggrediti nella notte. La preside D’Ambrosio ha negato anche l’adesione dei docenti allo sciopero. Durante la mattina studenti e studentesse si sono riuniti in assemblea autoconvocata all’esterno dell’Istituto.
Racconti di repressione – La passeggiata del terrore, contributi dalla terra di Bari
Questo racconto ho voluto scriverlo per condividere con compagne e compagni la mia esperienza di lotta al financo del popolo NOTAP
Ringrazio innanzitutto per la solidarietà che ho ricevuto dai compagn* e dagli attivist* del movimento NOTAP. Ciò che ho subito insieme a tanti altri è stata un aggressione a cielo aperto. E tutto questo non deve rimanere in silenzio. Le forze dell’ordine si sono accanite su di noi sia verbalmente con ingiurie e offese sessiste che fisicamente con i manganelli alla mano. Ero per terra quando ho ricevuto la prima manganellata; colpita alle spalle, mi giravo e rivolgendo lo sguardo verso l’alto vedevo la sagoma di un poliziotto che mi sferrava un secondo colpo con il manganello. D’istinto ho alzato il braccio per proteggermi. La manganellata è arrivata e se non fosse stata per la solidarietà attiva di due compagne che si trovavano vicino a me, avrebbe continuato. Il tempo per realizzare ciò che stava accadendo veniva scandito dal dolore al braccio e al gomito, tanto da non riuscire più a muoverlo nel giro di pochi secondi. Sono seduta a terra e sento le voci dei miei compagni e le urla di un dirigente di PS che camminando avanti e indietro con il manganello nella mano, fomentava i suoi sottoposti con odio e rabbia contro persone oramai immobilizzate, costrette a stare in ginocchio e con le manette ai polsi.
Intorno a noi un clima di feroce barbarie. Non ci si poteva muovere manco per prendere l’acqua dallo zaino che subito arrivava il celerino. Non è mancata la battuta squallida da parte di un agente verso una ragazza che era vicino a me: “Ti piacciono le manette eh?”. Bastardo. Dopo circa due ore siamo stati divisi in gruppi da 6/7 persone e condotti verso i blindati. All’interno del pulmino non ci si poteva avvicinare con lo sguardo al finestrino che immediatamente una guardia arrivava a chiudere la tendina per impedircelo. Durante il tragitto non mancavano le risatine tra le guardie di sottofondo. Una scena divertente eh?…
#NOTAP – Il nostro sguardo verso il cielo dove non esistono barriere!
Da quando il Movimento No Tap ha cominciato ad opporsi fisicamente alla costruzione del cantiere abbiamo assistito a una pioggia di denunce e misure di sicurezza. Già quest’estate gli attivisti sono stati colpiti con multe da centinaia di migliaia di euro. Oltre 25 verbali di violazione amministrativa (parliamo di multe da 10000 euro) notificati ad altrettanti cittadini che avevano preso parte alla manifestazione contro il blitz notturno dello scorso 4 luglio, durante il quale la ditta appaltatrice di TAP ha provveduto allo spostamento di 42 alberi di ulivo (1) .
Nelle ultime settimane una vera e propria occupazione militare sta interessando l’area del comune di Melendugno. La zona di San Basilio è stata decretata dal 13 Novembre “Zona Rossa” e centinaia di agenti sono stati ingaggiati per proteggere l’area dove sono state erette delle recinzioni così impressionanti che, lì fra gli ulivi, più che in Salento sembra di essere sulla striscia di Gaza. Il territorio è diventato completamente invalicabile se non dai residenti, sottoposti a continue identificazioni, mentre il presidio in zona San Basilio è stato spazzato via.
L’esibizione di forza da parte della polizia per scoraggiare l’opposizione popolare si sta concretizzando anche con la consegna di fogli di via. Il 20 Novembre il movimento No Tap si è dato appuntamento in Piazza Tancredi a Lecce per contestare la posizione dell’Università del Salento in merito a TAP e in particolare la presenza (in un convegno sulla sicurezza e la tutela ambientale sic!) di Michele Mario Elia, che oltre ad essere il country manager di TAP, è anche stato condannato in primo grado nel processo per la cosiddetta “Strage di Viareggio” a 7 anni di reclusione (2a /2b). Durante questo appuntamento non solo i manifestanti sono stati manganellati e picchiati, ma é anche stata consegnata a due attivisti l’ingiunzione a presentarsi in questura, dove hanno ricevuto un foglio di via che gli vieta di mettere piede in territorio di Melendugno per 3 anni. Mentre gli notificavano l’atto, le Fdo si sono preoccupate di mostrare il grosso faldone che conteneva i fogli, facendo intendere agli attivisti che ne avrebbero presto potuti tirare fuori molti anni.
Rompere l’isolamento: scriviamo ai detenuti e alle detenute
Uno degli scopi primari della repressione e dell’istituzione carceraria è quello di isolare i detenuti dalla realtà che li circonda e dagli affetti. Scrivere ai/alle nostri/e compagni/e detenuti/e così come ai tutti/e i/le detenuti/e è un importante atto di solidarietà che spezza l’isolamento che lo stato impone attraverso le mura carcerarie e i dispositivi di controllo. Per spezzare le catene dell’isolamento, manifestazioni, presidi e iniziative politiche di solidarietà sono importanti così come scrivere una lettera per dire loro che non sono soli, attraverso le proprie parole.
— “Nell’ora della rivolta, nessuno resta mai veramente solo”
Paska e Ghespe liberi subito
Liberta’ immediata per i detenuti del #G20 di Amburgo
Liberta’ per tutte e tutti
Quando scrivete, lasciate nella busta da lettera anche altre buste da lettera, fogli e francobolli in modo da facilitare una risposta e verificate correttamente l’affrancatura alla posta. Le lettere tra i 20 e i 35 grammi costano circa 2.50 euro.
Quando scrivete ricordate che in molti casi la corrispondenza è sottoposta a censura.
di seguito una serie di consigli tratti da https://www.autistici.org/mezzoradaria/scrivere-ai-detenuti/
Perché scrivere a chi è recluso.
Il tempo può essere un castigo quando si viene privati della libertà di disporne a piacimento, quando lo stato rinchiude qualcuno in una cella e lo priva dei suoi rapporti e si prende un pezzo della sua vita.
Può essere una prova molto dura, a maggior ragione quando ad affrontarla si è da soli. Ricevere solidarietà dall’esterno infonde una forza che può fare la differenza. Cominciare uno scambio di lettere può anche alleviare la solitudine della cella e fare sentire ad una persona che non è sola.
Che sia un telegramma, una cartolina o una lettera ogni contatto con l’esterno è una piccola breccia nell’isolamento a cui vorrebbero condannare i reclusi e le recluse. Oltre a queste considerazioni, c’è il fatto che intrattenere una corrispondenza con un recluso è spesso uno spunto di crescita personale e una bella esperienza.
Cosa scrivere.
Può non essere semplice scrivere una lettera a qualcuno che non si conosce, in molti ci troviamo spesso davanti alla difficoltà di scrivere qualcosa che non sia banale o stupido di fronte alla situazione sicuramente grave di chi sta scontando un periodo di reclusione.
Tuttavia non bisogna dimenticare che chi è in carcere è una persona come noi e spesso la cosa più semplice da fare è iniziare presentandosi e spiegando i motivi che ci hanno spinto a scrivere. Se non si ha nulla da scrivere un disegno o un collage può essere comunque un modo per trasmettere ciò che non si riesce a trasmettere a parole, oppure si può inviare un libro, informandosi prima sulle regole che vigono in ogni carcere, ad esempio in alcuni non possono entrare le copertine rigide o i testi sottolineati.
Per permettere alla persona di risponderci è importante indicare il mittente sulla lettera. E’ anche buona norma mettere la data in cui la lettera è stata inviata. E’ un bel pensiero inoltre allegare un francobollo all’interno della busta, dato da specificare nella lettera in modo che nessuno prelevi il bollo senza che ce ne si accorga.
Bisogna poi tenere conto che ciò che si scrive a chi sta in carcere viene con molta probabilità letto anche dalla polizia interna, quindi è meglio di evitare di scrivere qualunque cosa che possa tramutarsi in un problema per se stessi, altri o per la persona a cui si scrive.
Se non riceviamo risposta
A volte può capitare che di non ricevere risposta dalle persone a cui si è scritto. Non prendiamocela. I motivi possono essere tantissimi: da un disguido delle poste alle guardie che trattengono le lettere, può essere anche che il detenuto in questione abbia molte lettere a cui rispondere e che ci vorrà del tempo prima che riesca a rispondere a tutti. I motivi possono essere molti e in ogni caso non c’è motivo di prendersela.
A chi scrivere.
Scrivere a qualcuno dentro è un impegno che può sembrare da poco ma che una volta preso va mantenuto, quindi è meglio non sovraccaricarsi di lettere a cui rispondere se non si ha la certezza di mantenere nel tempo i contatti.
Resoconto sul presidio solidale anticarcerario del 25 agosto a Bari
Anche d’estate, soprattutto d’estate, non dimentichiamo chi è stato privato della libertà. I detenuti del carcere di Bari sono rinchiusi in un luogo di violenza, privazione, spersonalizzazione individuale ed affettiva.
Con queste parole al microfono si è aperto ieri il presidio sotto le mura del carcere di Bari in solidarietà a tutti i detenuti sia quelli “comuni” che a tutti i militanti/le rinchiusi nelle carceri. Un presidio partecipato, durato circa due ore mentre gli interventi contro le carceri, i cpr e tutti i luoghi di detenzione si alternavano alla musica popolare. Così come accaduto nei precedenti presidi la risposta dei reclusi non si è fatta attendere, facendosi “vedere” con accendini e bandiere improvvisate che facevano sventolare attraverso le sbarre. Sappiamo che i detenuti rischiano richiami e conseguenze per questi gesti, e vedere che presidio dopo presidio, la loro voglia di farsi vedere aumenta, ci rende consapevoli del valore che possa avere la semplice presenza e vicinanza umana, che attraverso il microfono e una cassa esprime la propria solidarietà. I “criminali” che “meritano” il carcere sono per la maggior parte appartenenti alle classi subalterne, i poveri e i reietti della società, i migrati e i tossicodipendenti che lo stato vuole far sparire dietro le mura carcerarie.
Di chi sono le città? Controllo sociale fra decoro e abusi di polizia.
Di chi sono le città?
Controllo sociale fra decoro e abusi di polizia.
vorrei tessere un elogio
della sporcizia, della miseria, della droga e del suicidio:
io privilegiato poeta marxista
che ha strumenti e armi ideologiche per combattere,
e abbastanza moralismo per condannare il puro atto di scandalo,
io, profondamente perbene,
faccio questo elogio, perché, la droga, lo schifo, la rabbia,
il suicidio
sono, con la religione, la sola speranza rimasta:
contestazione pura e azione
su cui si misura l’ enorme torto del mondo […].
P.P. Pasolini, il Poeta delle Ceneri
Mentre sulle pagine dei giornali si sprecano i proclami contro i migranti o contro gli abusivi, a secondo della moda del momento e del tornaconto elettorale, ci sono persone che stanno pagando a caro prezzo questa nuova ondata repressiva. Negli ultimi giorni, a Torino, ci sono stati ben due episodi di abusi di polizia, ampliamente documentati.
Una ragazza, Maya, attivista 19enne, è stata trattenuta per un’intera notte, picchiata e denunciata dalla polizia, senza alcuna ragione apparente, (e anche se ci fosse stata, non avrebbe comunque potuto motivare un tale trattamento cileno).
Un altro ragazzo, un migrante senegalese di cui al momento non si conosce il nome, è stato inseguito, ammanettato e manganellato a sangue durante un controllo a Porta Portese, fino a rimanere esanime sul pavimento.