Contro gli abusi di polizia – Comunicato in solidarietà agli studenti barlettani

Comunicato in solidarietà agli studenti barlettani.

IL 17 novembre scorso, due studenti del collettivo Cortocircuito di Barletta hanno subito un fermo di polizia durato qualche ora e durante il quale sono stati schedati. Il loro reato era quello di essere in corteo, come centinaia di altri studenti, con il loro striscione ed i loro slogan. Il loro allontanamento è stato chiesto da membri del sindacato studentesco UDS, in base a motivazioni di squallida egemonia di piazza, nei quali non entreremo e vi rimandiamo al comunicato del collettivo Cortocircuito [link]. Servite su un piatto d’argento, le forze dell’ordine si sono immediatamente prodigate in un’identificazione di gruppo, culminata con il fermo di due studenti (di 17 e 18 anni) che tentavano di rivendicare il loro diritto a restare nella piazza.

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La polizia non è nuova a spingersi oltre il proprio seminato. Chiaramente, agevolata da una delazione di questo tipo, si è presa volentieri il compito di stabilire chi in quel momento avesse il diritto di stare in piazza per risolvere il classicissimo “problema di ordine pubblico” che era venuto a generarsi.
Ma quale ordine pubblico?
Senza il bisogno di un’analisi troppo elaborata è facile leggere, in questo spiacevole episodio, un chiaro scopo intimidatorio. Facciamo fatica a credere che la polizia italiana si interessi delle controversie tra due diverse organizzazioni studentesche, vista la libertà di espressione che, con troppa facilità, è stata concessa all’estrema destra a Barletta, come in altre piazze d’Italia. Più facile è, immaginare che questa sia stata una ghiotta occasione per le FdO per mettere a tacere giovani voci scomode e soggettività non ammaestrate attraverso atti intimidatori. Atti intimidatori che si sono trasformati in un vero e proprio abuso di potere, in quanto non è chiara la motivazione in base alla quale la polizia si è sentita autorizzata a portare due studenti in caserma per la fotosegnalazione e per prelevargli le impronte digitali, neanche si trattasse di criminali. Purtroppo questi abusi di potere sono ormai la prassi da parte delle FdO, che approfittandosi del clima di sospetto generato con maestria dagli organi di informazione, dell’aridità della politica di rappresentanza che non conosce solidarietà ma solo sete di potere, è entrata senza proteste nelle scuole, nelle università e nelle piazze. Da parte nostra non ci stancheremo mai di denunciarli, perché chi sa e volta la testa, chi sa e tace, è complice e permette tutto questo.
Ci vogliono rassegnati ma non fanno altro che alimentare le nostre convinzioni.
Nessuno rimarrà isolato.

Comunicato delle Officine Tarantine su denunce e repressione

Rilanciamo il comunicato delle Officine Tarantine su denunce e repressione ed esprimiamo a tutte le compagne e i compagni vicinanza e correità.

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Questo è il resoconto delle ultime denunce a carico del collettivo Officine Tarantine , in seguito alle mobilitazioni messe in campo nell’ultimo anno.
Ci teniamo a rendere pubblico quanto sta accadendo negli ultimi tempi, dopo che per mesi l’azione di delegittimazione effettuata nei confronti di esponenti ed attivisti sembrava essersi interrotta.
Sono giunte nelle abitazioni di alcuni nostri compagni decreti penali di condanna, e citazioni a giudizio, emanati dalla magistratura di Taranto su indicazione degli agenti PS Digos, riguardanti le ultime mobilitazioni messe in campo.
La prima riguarda l’insediamento del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e della sua Giunta nella nostra città ,nel giorno in cui la piazza esterna al Palazzo della Prefettura era presidiata da istanze ed organizzazioni diverse (associazioni, sindacati e movimenti), si emanano condanne preventive al pagamento di ingenti multe (in sostituzione della pena detentiva) per alcuni compagni che, insieme alle tante organizzazioni, si resero portavoce di alcune istanze territoriali.
L’accusa è quella di manifestazione non autorizzata, un paradosso procedurale che sa di strategia repressiva ben premeditata: da un lato una piazza esterna presieduta da varie realtà sindacali, politiche ed associative, dall’altro una azione repressiva soltanto per alcuni , guarda caso “i soli” tra i pochi i cittadini che dentro l’assise regionale hanno provato a riportare il dramma sociale ed ambientale della città di Taranto nella realtà dei suoi fatti.
Qualche giorno fa, invece, è accaduto il fatto più clamoroso , sempre a carico di un appartenente al collettivo “Officine Tarantine”: arriva una citazione a giudizio da parte del condannato a 10 mesi di reclusione con pena sospesa Don Marco Gerardo.
Il parroco della chiesa del Carmine cita a giudizio un nostro esponente, imputandolo di avergli recato offese pubblicamente nel ripetere alcune frasi lette e rilette su vari quotidiani (presenti anche nel processo AMBIENTE SVENDUTO).
A quanto pare quelle parole hanno fatto infuriare il condannato della curia Tarantina, che dopo essersi messo al servizio della ragnatela che Archinà tesseva, cerca, citando un appartenente alla società civile a giudizio , di tirarsene fuori moralmente.
Resta il fatto che con questa citazione il parroco chiede un risarcimento danni.
Nonostante queste procedure mirate, atte a tentare di distruggere percorsi di lotta autonomi che ad oggi contano più di 50 persone denunciate con diversi processi in atto, ci sono diverse riflessioni da fare .
La prima considerazione riguarda la curia tarantina , che ancora nonostante una condanna a 10 mesi di reclusione nei confronti di Don Marco Gerardo, non ha preso nessun tipo di provvedimento nei confronti del parroco della chiesa del Carmine di Taranto, anzi a maggior ragione lo stesso, con questa azione diffamatoria (a nostro avviso) conferma la sua poca fede nella giustizia.
Con questo coivolgimento processuale lontano dalle logiche di qualsiasi pastore ,il parroco del Carmine è un altro esempio lampante di come alcuni membri della comunità ecclesiastica tarantina professano nonostante le loro azioni siano molto lontane dalla fede stessa.
Altra considerazione riguarda la macchina della repressione messa in atto da magistratura e polizia negli ultimi anni.
Le istituzioni continuano imperterrite a reprimere attraverso denunce e decreti penali di condanna la voglia di riscatto e le idee che molti ragazzi di questa dannata città esprimono attraverso percorsi autonomi e spontanei.
Percorsi giovani che con coraggio, dal basso, rimarcano l’appartenenza ad un territorio sfruttato e depredato, lottando costantemente per la libertà di poter scegliere un futuro diverso dall’emigrazione, dalle grandi industrie, e dallo sfruttamento.
Ci troviamo dopo diversi anni TUTTI/E CONDANNATI a giudizio , per aver espresso le nostre necessità , per aver alzato con fierezza la testa, contrastando chi dall’alto cala ogni giorno scelte infamanti sulle nostre vite, costringendoci a vivere in questo ”stato “ , imponendo a tutti noi, alla comunità tarantina, di chinare la testa costantemente e ad accettare una situazione sociale e ambientale disastrosa alla quale siamo sottoposti da decenni.
Queste denunce non fermeranno il nostro cammino, vivere qui significa anche non avere paura del presente, del futuro e della repressione,
TARANTO LIBERA.
OFFICINE TARANTINE.