La Solidarietà è una prassi, cominciamo dalle Casse di Resistenza Territoriali

La Solidarietà è una prassi, cominciamo dalle Casse di Resistenza Territoriali

“Tutta la penalità del secolo XIX diventa un controllo che non pone in dubbio se ciò che fanno gli individui è d’accordo o no con la legge, ma che interviene piuttosto al livello di ciò che possono fare, sono capaci di fare, sono disposti a fare, sono sul punto di fare. […]

La grande lezione della criminologia e delle penalità del fine del secolo XIX  fu la concezione scandalosa, in termini di teoria penale, di pericolosità. La nozione di pericolosità significa che l’individuo deve essere considerato dalla società al livello delle sue possibilità e non dei suoi atti, non al livello delle infrazioni effettive ad una legge anche effettiva , ma delle possibilità di comportamento che esse rappresentano.”

  1. Foucault, La verità e le forme giuridiche, Napoli 2007

 

Quando si parla di repressione le forze in gioco e le variabili sono tante e spesso difficilmente prevedibili. Non è possibile ridursi ad asserzioni perentorie e schematiche. Si può però seguire l’operare repressivo che abbiamo subìto finora, le varianti già in corso d’opera e cercare di prevedere quelle che si rafforzeranno in futuro.

È negli anni Settanta che inizia l’attuale “grande internamento”, legato a doppio filo con l’affermarsi delle politiche liberiste.  Nel ventennio 1975-1995, la prima fase dell’offensiva liberista negli Usa, il totale dei detenuti nelle varie case di reclusione statunitensi passava dalle 380.000 unità del 1975, a circa 1.500.000 del 1995, per poi arrivare a 2,5 milioni del primo decennio del nuovo secolo.

Anche in Europa e in Italia, pur non uguagliando incrementi così clamorosi, si è assistito al raddoppio della popolazione prigioniera. In Italia, nel 1989 sono 30.989 le presenze in carcere, che scendono a 26.150 grazie all’amnistia del ’90; nel 2000 sono 53.165 le presenza e, nel 2011, arrivano a superare il record di 68.000, per scendere a circa 61.000 nel febbraio-marzo 2014 e a 56.000 nei primi mesi del 2015 grazie ai provvedimenti “svuota carceri” fatti in fretta e furia dopo l’ennesimo richiamo della Corte europea dei diritti dell’uomo.

L’attuale crisi del sistema neoliberista e l’introduzione di forme di precarietà strutturale, tali per cui, la sola possibilità di lavoro “legale” è quella intermittente e senza garanzie, ha modificato l’andamento del rapporto repressione/classi marginalizzate, incrementando la penalizzazione di queste ultime, diventate di fatto il “soggetto” che riempie le carceri italiane. Secondo gli ultimi dati Istat al 31 dicembre 2013[1] il numero di detenuti presenti in Italia è di gran lunga superiore alla capienza regolamentare, fissata a 47.709 posti. Su una popolazione carceraria di 62.536 unità, i detenuti reclusi per violazioni della normativa sugli stupefacenti rappresentano la maggioranza con 24.273 casi (il 38,8%). Seguono i reati di rapina con 18.064 casi (pari al 28,9%) e furto con 13.531 casi (pari a l 21,6%).

Il cosiddetto “disordine sociale” si è manifestato con lo sviluppo della cooperazione diffusa attraverso attività illegali marginali nelle grandi città non legate né inserite nella grande malavita organizzata (con la quale il potere tratta affari in comune, vedi Mafia Capitale), con il formarsi di bande giovanili nelle periferie, la diffusione di gruppi di ultras, la costituzione spontanea di gruppi conflittuali disorganizzati.

L’imperversare della crisi ha alimentato la ripresa del conflitto sociale, portando migliaia di persone nelle strade e nelle piazze per combattere la mancanza di case, la disoccupazione, l’assenza di adeguate strutture sanitarie, la decadenza della scuola, il peggioramento delle condizioni di lavoro, il saccheggio e la devastazione di interi territori in nome del profitto (le discariche, le basi militari, le grandi opere di ferro e di cemento, le trivellazioni, TAV, Muos, Tap…). Gli attivisti e i cittadini che hanno preso parte alle mobilitazioni e alle manifestazioni, sono stati sottoposti a misure cautelari, colpiti da denunce e schedature di massa. Si è ritornati a formulare capi d’accusa con l’uso di aggravanti quali i reati associativi, l’uso dei reati a fini terroristici (art. 270bis, 280, 280bis e 289) e l’uso del reato di “devastazione e saccheggio” in maniera completamente sproporzionata rispetto ai reali accadimenti.

Il riemergere e l’espansione di una popolazione più consapevole può costituire terreno di sviluppo per i movimenti conflittuali e mettere in discussione la legittimità dell’ordine sociale, in questa ottica, gli organi di governo e lo Stato hanno necessità di adeguare di conseguenza il sistema repressivo per tenere a freno e regolamentare questa massa di senza lavoro, né reddito.

Del resto, oramai, lo stesso palesarsi fisico dell’aggregazione sociale, anche quando priva di connotati politici, viene oggi trattata con sospetto. Si cerca di svuotare le strade e le piazze da chi le vive, vietando e multando ogni pericoloso sintomo di vita che non sia finalizzato al consumo. Gli stili di vita vengono criminalizzati ed immediatamente etichettati come “degrado” e per lo più repressi attraverso ordinanze comunali. Attraverso la retorica della “sicurezza”, la categoria di ordine pubblico è usata come grimaldello per allontanare tutti gli indesiderabili, marginalizzati perché economicamente poco appetibili, ma sacrificabili in nome di un decoro urbano che rappresenta più i voti di una certa borghesia xenofoba e benpensante, che una tangibile modifica della qualità della vita nella metropoli.

Le nuove necessità di controllo sociale hanno proposto ulteriori modalità di intervento repressivo, non del tutto nuove ma sostanzialmente rinnovate, tra le quali spiccano:

La prognosi di pericolosità, una previsione probabilistica che cerca di determinare i possibili futuri comportamenti fuori-legge dei soggetti osservati, in base a relazioni delle forze di polizia (specificamente della Digos, e di altri organismi legati ai servizi segreti quando si tratta di reati relativi ai conflitti sociali) basate sulle analisi dei comportamenti, delle relazioni sociali e sul monitoraggio dei dati captati attraverso la rete, nonché utilizzando altre infrazioni commesse o presunte tali, indifferentemente dalla loro pertinenza in materia .

La neutralizzazione selettiva, in base alla quale le pene detentive più lunghe vengono applicate a chi è ritenuto più pericoloso, indipendentemente dal reato commesso. Oltre la reclusione in carcere, questo meccanismo tende ad impedire alla persona ritenuta “pericolosa” la frequentazione degli ambienti nei quali si ritiene che possa aggregarsi per trasgredire la legge, oppure a privare il soggetto degli strumenti che potrebbe utilizzare per farlo (sino al divieto dell’uso del telefono cellulare).

Sono chiaramente meccanismi cui non si può attribuire nemmeno teoricamente o ideologicamente alcuna funzione rieducativa in quanto il loro campo d’azione rientra nella funzione invalidante, che persegue lo scopo di rendere incapaci di operare quelle persone ritenute “pericolose” e/o “sovversive” ancor prima che queste possano compiere azioni o organizzare altre persone al fine di compierle. Queste misure “interdittive” da un lato limitano l’esercizio di alcune facoltà o diritti, come il divieto di svolgere attività professionali o imprenditoriali o la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, dall’altro devastano la vita delle persone che le subiscono, limitando pesantemente gli ambiti sociali tramite provvedimenti quali, l’obbligo di firma, l’obbligo di dimora, il foglio di via, l’avviso orale, la sorveglianza speciale e infine gli arresti domiciliari.

Questa strategia repressiva tiene d’occhio, sempre più, non tanto ciò che le persone o i “fuori legge” fanno ma soprattuttociò che possono fare, sono capaci di fare, sono disposti a fare, sono sul punto di fare”.

Il terreno dell’invalidazione[2], accompagnato da cospicue sanzioni economiche, sembra essere il terreno scelto per tenere sotto controllo il disordine sociale, la potenziale trasgressione e anche il conflitto, senza caricare il carcere di un numero eccessivo di persone recluse con le conseguenze di costi enormi e problemi di immagine internazionale dello stato italiano. Emerge questo come nuovo sistema di governo poliziesco dell’universo della marginalità sociale ed anche del conflitto sociale in via di espansione. Anche perché questo sistema presenta maggiori possibilità di controllo del territorio da parte delle forze di polizia.

Cosa sta succedendo? Alcuni esempi di repressione.

  • Il 23 dicembre 2014, Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia, attivisti NoTav,  sono stati condannati nella sentenza di primo grado per il sabotaggio del cantiere di Chiomonte,  avvenuto nel maggio 2013. La Corte d’Assise di Torino ha cancellato l’accusa di terrorismo formulata dalla Procura, annullata già dalla Cassazione nel giugno scorso, e ha condannato i 4 No Tav a 3 anni e 6 mesi per i restanti capi d’imputazione, ovvero danneggiamento, violenza a pubblico ufficiale e porto di armi da guerra (bottiglie incendiarie). Caduta l’aggravante di terrorismo,  il Tribunale del Riesame, una settimana dopo la condanna,  ha disposto per loro gli arresti domiciliari, con tutte le restrizioni possibili. Scarcerati dunque, ma con il divieto di incontrare chiunque non sia abitualmente domiciliato nella stessa casa. Le restrizioni sono massime e concernono prevalentemente la comunicazione. Quando sono stati in carcere erano nella sezione AS2, sezione speciale in un reparto con pochissimi altri prigionieri, ma con possibilità di comunicare per lettera con chiunque, certo, con la censura per un periodo. Ora ai domiciliari la loro condizione sarà meno devastante che in carcere, ma la comunicazione sarà ancor più ridotta, quindi l’invalidazione è accentuata. Stesso percorso per Lucio, Francesco e Graziano.
  • Nel Marzo del 2015, 17 attivisti dei centri sociali ExKarcere e Anomalia di Palermo, vengono accusati di associazione a delinquere dalla Procura palermitana e sottoposti all’obbligo di firma; Circa un mese dopo la stessa procura, durante il Riesame, invalida le accuse associative e le misure cautelari connesse.
  • Nel Febbraio del 2015 la procura di Torino chiede la Sorveglianza speciale, per 8 militanti dell’area anarchica.
  • Nel processo per gli scontri del 14 Dicembre 2010, il Comune di Roma si è costituito parte civile, avanzando la spropositata richiesta di centinaia di migliaia di euro, nei confronti dei denunciati, per il risarcimento di una serie di danni procurati alla città dove assumono notevole rilevanza quelli che vengono definiti come “danni all’immagine della città di Roma”.

Ciò che possiamo fare, fin da oggi, è ridurre gli effetti della repressione sostenendo con forza chi la subisce, attraverso la realizzazione di Casse di Resistenza, perchè se il controllo penale, sia quello intramuraio, sia quello esterno, tende a separare e isolare per annientare, la solidarietà materiale e fattiva può ricostruire i legami sociali, rompere l’isolamento e dare un sostegno non solo materiale ed economico, ma anche informativo e di supporto alla famiglie di coloro che la repressione la subiscono.

Negli ultimi mesi, NONSOLO MARANGE, all’interno dell’Ex-Caserma Liberata, ha sviluppato un percorso di riflessione con una serie di iniziative di approfondimento sulla repressione di stato. Oggi la repressione colpisce non solo i militanti, ma anche le classi marginalizzate, che vengono perseguite per i loro stili di vita, e tutti coloro che manifestano il proprio dissenso nelle strade e lottano nei propri territori.

Una nuova stagione di lotte si è aperta e con essa sono giunti numerosi atti repressivi, alcuni dei quali ci hanno visti coinvolti in prima persona. Da qui la comprensione di quanto oggi più che mai sia necessario affrontare il problema della repressione, per aiutare tutti i compagni e le compagne che rimangono impigliati nei suoi ingranaggi, attraverso un supporto legale e una cassa di resistenza. Vogliamo che nei nostri sud ci sia una rete di resistenza attiva alle problematiche repressive, sia sul piano informativo che su quello economico. Per questo abbiamo deciso di creare una Cassa di Resistenza per supportare tutti coloro che si trovano nei tribunali e nelle carceri, ma non sono preparati a sostenerne le conseguenze.

NONSOLO MARANGE – Cassa di Resistenza e Supporto Legale

Per chi lotta per le istanze sociali, per gli antifascisti, per chi subisce abusi dalle divise,

per chi viene incriminato per i suoi stili di vita, le marange non bastano.

Questo vuole essere solo il primo passo di un percorso che parte dalla città di Bari, ma aspira a allargarsi per poter definirsi ed agire a livello regionale. Nei prossimi mesi avvieremo un ciclo di iniziative per presentare il progetto “NONSOLO MARANGE – Cassa di Resistenza e supporto legale”, per promuovere la costituzione di casse di resistenza i tutti i territori.

La solidarietà è un’arma, la solidarietà è una prassi

[1] http://www.istat.it/it/archivio/153369

[2] Con Legge 16 aprile 2015, n. 47 “Modifiche  al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di  misure cautelari personali”, entrata in vigore l’8 maggio 2015, è stata ridotta notevolmente l’applicabilità della custodia cautelare in carcere (carcerazione preventiva) soltanto ai casi dove il tentativo di fuga o l’inquinamento delle prove sia certa e dimostrabile dal magistrato. Per tutti gli altri casi si applicherà il meccanismo dell’invalidazione.