La poesia e i linguaggi artistici come antidoto alla repressione: un viaggio nelle carceri italiane e nei bracci della morte degli Stati Uniti.

Sabato 17 Settembre, dalle ore 16:00 Ex Caserma Liberata, una giornata rivolta a chi è recluso in collaborazione con le Brigatepoetirivoluzionari
Ore 18:00 – Poesia Resistente
La poesia e i linguaggi artistici come antidoto alla repressione: un viaggio nelle carceri italiane e nei bracci della morte degli Stati Uniti.
Un incontro con Marco Cinque su esperienze e progetti realizzati assieme a detenuti/e e condannati/e a morte.
Ore 19:00 Scrivere senza prigioni: campagna di sensibilizzazione all’invio di lettere ai detenuti/e
La solidarietà è un’arma,
La solidarietà è una prassi.

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Due attivisti pugliesi incarcerati in Turchia per aver visitato il Kurdistan

Incarcerati in Turchia per aver visitato il Kurdistan. L’incubo di due attivisti italiani accusati di terrorismo e spionaggio dal regime di Erdogan.

«Due cittadini italiani, Pietro Pasculli e Claudio Tamagnini, sono stati arrestati in Turchia il 29 luglio scorso e incarcerati per una settimana con pesantissime accuse di terrorismo e spionaggio internazionale». Uno dei due, Pasculli, è militante di Rifondazione comunista e nella sede nazionale di questo partito s’è tenuta una conferenza stampa.

All’origine dell’arresto l’aver visitato le aree Kurde della Turchia che il governo di Ankara bombarda quotidianamente con l’obiettivo di impedire alle popolazioni Kurde di poter continuare a vivere sui propri territori.

«Siamo stati arrestati dalla polizia turca – ha detto Pietro Pasculli – che ci ha tenuto 4 giorni in isolamento in celle sotterranee con l’unica colpa di essere stati testimoni dei bombardamenti che l’esercito turco compie quotidianamente sui villaggi curdi del sud della Turchia, incendiando villaggi, boschi e raccolti. In seguito agli interessamenti della nostra ambasciata siamo stati processati e assolti dall’accusa di terrorismo e spionaggio internazionale ma dopo la nostra messa in libertà da parte della magistratura, la polizia ci ha nuovamente arrestato e dopo averci rinchiuso in un CIE in cui non erano rispettate le minime condizioni igienico sanitarie – ma su cui campeggiavano le insegne dell’Unione Europea – ci ha espulso in Italia solo dopo il nostro impegno a pagare i costi del viaggio dei nostri carcerieri che dovevano scortarci all’aeroporto di Istanbul. Questo indica che la nostra non è una vicenda individuale ma evidenzia come il governo turco – che ha proclamato lo stato di emergenza nelle aree abitate dai Kurdi fin dal 1987 – voglia reprimere la popolazione Kurda senza che vi sia alcuno che possa testimoniare delle barbarie compiute dall’esercito. Questo è il vero problema politico di cui parla il nostro arresto e la nostra detenzione».

Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, ha ringraziato il corpo diplomatico italiano che si è impegnato per la scarcerazione di Pietro e Claudio e ha definito «assurde» le accuse rivolte ai due italiani: «la Turchia – ha detto Ferrero – non vuole che nessuno sia testimone e possa denunciare e documentare i massacri e le distruzioni di cui si rende quotidianamente responsabile il governo turco nei confronti della popolazione curda. I massacri e i bombardamenti che l’esercito Turco attua contro il territorio e la popolazione Kurda nel sud della Turchia non sono cominciati dopo il colpo di stato di Erdogan ma vanno avanti da decenni nella piena condiscendenza da parte dell’occidente. La Turchia fa parte della NATO e sono gli aerei della NATO che bombardano i villaggi di una popolazione inerme senza che il governo italiano, l’Unione Europea o gli Stati Uniti abbiano nulla da dire. Si tratta di una situazione di vergognosa complicità a cui occorre mettere fine immediatamente: l’Italia rompa immediatamente i trattati economici e militari con la Turchia che deve essere boicottata sino a quando Ocalan non sarà rimesso in libertà, sarà posta fine alle azioni di guerra contro i Kurdi, verrà riconosciuto il PKK».

Claudio Tamagnini – attivista della rete italiana International Solidarity Mouvement – ha sottolineato come «la politica dello stato Turco è quella di aggredire militarmente il territorio turco abitato dai Kurdi facendo terra bruciata al fine di obbligare quote consistenti della popolazione a spostarsi in altre zone. Parallelamente il governo Turco insedia nelle aree sottratte ai Kurdi profughi siriani legati all’ISIS, al fine di costituirsi una base sociale di consenso nelle zone Kurde. Ci troviamo quindi di fronte ad azioni militari finalizzate alla distruzione dell’identità e all’integrità del popolo Kurdo».

Articolo tratto da Popoff

Comunicato di solidarietà ad una compagna internazionalista

Accusata di terrorismo su facebook dopo un viaggio in Palestina.
Comunicato di solidarietà ad una compagna internazionalista

Tante volte, nei nostri percorsi di lotta, ci siamo trovati di fronte ad una spietata realtà che ci porta a sentirci isolati. E’ triste dirlo ma è una delle prima cose che metti in conto quando scegli da che parte della barricata stare, quando hai le idee chiare su chi siano i tuoi nemici. Quando però si parla di Palestina tutto sembra incredibilmente complicarsi. Entrano in gioco dinamiche difficili da gestire proprio perché la questione palestinese è in sé molto complicata, racchiudendo in un unico discorso tutti quei mostri contro i quali ogni giorno ci troviamo a lottare. In Palestina è in corso un’occupazione da quasi 70 anni ed in questo tempo la Palestina è diventata il laboratorio internazionale nel quale sperimentare le più brutali tecniche di repressione e, nel peggiore dei casi, sperimentare armi di distruzione di massa. In Palestina è da anni in corso una pulizia etnica, nel silenzio più assoluto di gran parte delle “democrazie” occidentali e dei principali media mondiali. Tutto ciò che sappiamo sui crimini perpetrati dagli israeliani ai danni del popolo palestinese ci giunge dalle testimonianza di volontari, fotografi e giornalisti indipendenti che decidono di dedicare la loro vita a questa causa.
Nel periodo compreso tra aprile e giugno 2016, una nostra Compagna è stata in Cisgiordania, nei territori occupati palestinesi, con lo scopo di produrre un progetto fotografico che potesse mostrarci com’è la vita sotto occupazione militare e quanto difficile possa essere compiere le più banali azioni quotidiane per un popolo oppresso da decenni. Oltre ad un efficace e costante quotidiano lavoro di denuncia, si è spesa parecchio per dare il suo contributo come volontaria aiutando i palestinesi quando le è stato possibile e trovandosi spesso ad avere a che fare con situazioni estremamente rischiose.
Ritornata da una dura esperienza di vita, la nostra compagna ha ripreso la sua vita normale con la consapevolezza di cosa significhi vivere senza avere diritto a nulla di cui noi siamo abituati a dare per scontato. Il suo ritorno alla normalità – alla vita di paese di provincia – non è stato per niente facile sino a quando non ha scoperto si essere stata etichettata come “terrorista”. La nostra compagna, suo malgrado, si è scoperta vittima del clima di odio razziale e islamofobia diffusa che si vive nel nostro paese e che ha ispirato un suo concittadino sui social media, un fascista che vive nel suo stesso paese, noto per le sue esternazioni xenofobe e anti-islamiche e che l’ha accusata su facebook di essere una terrorista, fiancheggiatrice di organizzazioni estremiste islamiche.
Per giorni la nostra Compagna si è trovata ad avere a che fare con post deliranti, in cui le sue foto venivano associate a discorsi di odio contro i musulmani ed a precise accuse di sostegno al terrorismo islamico internazionale. Questo le è costato all’inizio un blocco della sua pagina facebook che, in sé, è davvero poca cosa se pensiamo alla gravità delle accuse che le sono state rivolte, ma, uscire di casa per andare al lavoro e scoprire che le accuse arrivate dal virtuale, si erano trasformate in – sguardi dubbiosi e talvolta minacciosi – delle persone reali ha messo in evidenza quanto la realtà sia terreno fertile per i fascisti e razzisti da tastiera.
Esprimiamo piena solidarietà e vicinanza alla compagna vittima di una campagna infame e denigratoria posta in essere da un razzista e invitiamo tutte e tutti gli antirazzisti pugliesi a sostenerla, affinchè sia chiaro, anche a Ginosa, che per i razzisti e le loro accuse infamanti non c’è legittimità, ne spazio.
Chi ha compagni non è mai solo.
NONSOLO MARANGE – Cassa di resistenza e supporto legale

Le giornate del G8 di Genova 2001, la memoria di un compagno

Le giornate del G8 di Genova del 2001 le ricorderemo per sempre come tra le più buie della storia di questo Paese. A Genova l’apparato repressivo dello stato si è mostrato in tutta la sua infame crudeltà, reprimendo un Movimento che faceva paura perché evidentemente aveva ragione. A Genova si è consumata quella che poi Amnesty Intenational ha poi definito “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Ed anche senza questa triste quanto vera definizione, per noi, la situazione è stata chiara fin da subito. Il corteo del 20 luglio, attaccato ben prima della “zona rossa” dai cani da guardia dello stato, rabbiosi, forse dopati. Manovre a tenaglia, per isolare pezzi di corteo e procedere alla mattanza. Teste fracassate, sangue in diretta tv, lacrimogeni al CS, classificati armi da guerra di terza categoria, ossia “armi chimiche” ma regolarmente utilizzati nella gestione dell’ordine pubblico in Italia. Protagonisti indiscussi dei momenti di piazza più tesi da quel maledetto G8 ai giorni nostri, da Genova alla Val di Susa. Per noi non hanno mai avuto molta rilevanza le distinzioni tra violenti e non. Sono etichette generalmente affibbiate da chi nella piazza sostanzialmente, il più delle volte non c’è stato. Ma molte riflessioni scaturiscono dalla volontà di attaccare un corteo di gente inerme. Per ribadire, casomai fosse necessario, chi era che comandava, che sarebbero stati pronti a passare sui nostri corpi pur raggiungere i loro fini. Probabilmente tanto altro ci sarebbe da dire sulla scelta di non proteggere il corteo, sull’idea di presentarsi in maniera pacifica e sperare nella pietà degli aguzzini. Ma a cosa servirebbe? A Genova cercavano il morto tra le loro file, per legittimare la mattanza. Ma hanno ammazzato uno dei nostri. Ricordo perfettamente qui giorni, pur non essendo presente. Avevo solo 15 anni ma avevo anche già scelto da che parte stare. Ricordo le discussioni accese a casa sull’opportunità di raggiungere Genova, ricordo le versioni distorte dei fatti fin dalle prime cariche della polizia. L’immediato diffondersi della notizia di un manifestante ucciso perché colpito da un sasso lanciato dal corteo e poi le prime immagini di un carabiniere che sparava ad altezza d’uomo da quel maledetto defender. Il corpo di Carlo agonizzante, martoriato, offeso, deriso sull’asfalto bollente di quella che non sarebbe mai più stata Piazza Alimonda. E poi il tentativo di insabbiare le prove di un omicidio, la macelleria messicana della Diaz nella notte seguente. Bisognava restituire credibilità a tutta quella catena di comando che andava dalla politica nazionale agli esecutori materiali della repressione. E quindi il massacro della scuola Diaz, in cerca di armi mai trovate. Spesso ho pensato che la nostra fosse una generazione di sfigati. Perché avevamo iniziato a fare politica nel dopo Genova, in quegli anni bui in cui nonostante un omicidio archiviato, un’ondata repressiva senza precedenti noi eravamo i cattivi che avevano devastato Genova (e c’è chi ancora sta pagando con pesantissime condanne per quelle giornate) mentre loro facevano carriera grazie ai crimini commessi in quei giorni. Da allora è stato 20 luglio ogni giorno. Sono passati 15 anni ma nulla è cambiato. Nessun reato di tortura, nessun numero identificativo, nessuna commissione di inchiesta parlamentare. Accuse di devastazione e saccheggio ed associazione sovversiva con finalità terroristiche somministrate come un rituale tutte le volte che qualcuno prova ad alzare la testa. Non è cambiato niente. Non è cambiata la nostra rabbia. Porto Carlo nel cuore in ogni corteo, presidio e percorso di lotta da quel maledettissimo 20 luglio 2001. Anche quando mi sembra di non avere più la forza, quando mi sembra che tutto sia perduto mi torna in mente quella sagoma col passamontagna farsi strada nella nebbia dei lacrimogeni e rimanere lì davanti fino alla fine. Carlo vive nella lotta, nel nostro impegno, sui muri delle nostre città.
A Carlo, per sempre ragazzo

No all’archiviazione, Verità e giustizia per Carlo Saturno

Il 7 aprile del 2011, Carlo Saturno, 24enne di Manduria muore nel carcere di Bari dopo aver subito un pestaggio da parte degli agenti di polizia penitenziaria. A distanza di 5 anni dalla sua morte violenta e nonostante le pressanti richieste del GIP di “individuare gli agenti di polizia penitenziaria responsabili del pestaggio, i medici che ebbero in cura il ragazzo, gli psicologi e tutti coloro che permisero che restasse solo nella cella in cui fu trovato cadavere”, ieri, per la terza volta la procura di Bari ha chiesto l’archiviazione del caso con l’evidente volontà di insabbiare il caso e non perseguire i colpevoli per la morte di Carlo.
Carlo era un ragazzo che si è ritrovato più volte ad affrontare l’esperienza carceraria come spesso accade a chi cresce e vive in un contesto sociale difficile. Carlo non tollerava i soprusi e le violenze che i detenuti quotidianamente subiscono nelle carceri italiane e aveva denunciato un gruppo di agenti di polizia penitenziaria per degli episodi di violenza avvenuti anni prima nel carcere minorile di Lecce. Se fosse sopravvissuto, sarebbe stato uno dei testimoni chiave nel processo contro i 9 agenti di polizia penitenziaria imputati proprio per i maltrattamenti e le violenze incredibili che i detenuti subivano nel carcere di Lecce tra il 2003 e il 2005.
Carlo è vittima dello stato.
Carlo è stato ucciso in un carcere italiano.
Carlo è stato ucciso dalla polizia penitenziaria, dai medici silenti e indifferenti, dagli psicologi assenti e reticenti.
NO ALL’ARCHIVIAZIONE
Verità e Giustizia per Carlo Saturno

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Nessuna agibilità per razzisti e fascisti in terra di Bari

Rilanciamo il comunicato delle compagne e dei compagni di Ex-Caserma Liberata

La città di Bari, nonostante sia medaglia d’oro alla Resistenza, è sempre stata una città mercantile e di destra, dove razzisti e fascisti hanno molto spesso goduto di coperture politiche e militari. Dai tempi di Nicola Lamaddalena, sindaco della Democrazia Cristiana, che coprì vergognosamente le responsabilità del MSI nel brutale assassinio di Benedetto Petrone, alla infame complicità dell’agente di polizia Francesco Tiani che nel 2003 fu correo di Forza Nuova nel tentato omicidio di un compagno nel 2003 (condannato insieme a 9 fascisti nel relativo processo), sino ad oggi dove protetti dal potere politico di una circoscrizione storicamente di destra, i fascisti di casapound aprono una sede nel rione Libertà. Casapound, i cui militanti si definiscono orgogliosamente “fascisti del terzo millennio”, sin dalle sue origini basa la propria azione politica sulla discriminazione del diverso, sia esso immigrato, omosessuale, indigente o genericamente “di sinistra”. Da un lato si presenta come partito politico alle elezioni, soffiando sul fuoco dell’odio contro gli stranieri, dall’altro veste i panni di presunte associazioni culturali, scolastiche, sportive, ecologiste quali: sovranità, la salamandra, gr.i.m.e.s., solidarité identités, blocco studentesco, sindacato blu, il circuito e la foresta che avanza. Attraverso queste associazioni casapound raccoglie fondi, per sostenere la sua attività di propaganda dell’odio anche in scuole e università. A riprova di ciò, in tutta Italia, sono numerosi gli attacchi a danno di chi non risponde ai criteri di “italianità” pensati da casapound.

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Dal 2011 a oggi, 20 arresti e 359 denunciati tra militanti e simpatizzanti di casapound per azioni violente (nei confronti di immigrati e richiedenti asilo, come l’anno scorso a Casal San Nicola a Roma, contro antagonisti e militanti di sinistra, contro giornalisti, scrittori ed infine fumettisti) o per reati connessi al narcotraffico e allo sfruttamento dell’emergenza clandestini (vedi l’inchiesta di Roma Capitale).
Come spesso accade in Italia, godono di ampia complicità e copertura fra gli appartenenti alle diverse forze dell’ordine e fra gli organi dello Stato che ne legittimano e difendono l’esistenza. Sono di poco tempo fa le dichiarazioni del prefetto Mario Papa, direttore centrale della Polizia di Stato. Papa, in una nota informativa del ministero dell’interno inviata al tribunale di Roma, dipinge questi soggetti come innocui giovanotti partecipi nel sociale, oltre che quelle del ministro del terrore Angelino Alfano che glissa sulle violenze squadriste e spesso le riduce ad episodi di scontro fra estremisti nella solita logica farlocca delle opposte fazioni.
Casapound, facendo leva sulla rabbia e l’insoddisfazione che la gente vive, in un periodo di crisi che parte dall’economia ma investe ogni ambito della vita individuale e collettiva, spinge alla guerra fra poveri, alimentando l’odio razziale e tentando di identificare nello straniero e nel diverso la causa dei nostri problemi. Nelle ultime settimane casapound ha messo in campo una campagna di aggressioni e intimidazioni quotidiane. Davanti ai campi Rom, davanti ai licei, nei quartieri, di fronte ai centri di accoglienza, ogni giorno i militanti neofascisti minacciano, insultano e provocano chiunque abbia idee diverse dalle loro o un altro colore della pelle. Tutto questo avviene spesso di fronte agli agenti di polizia che difendono la propaganda xenofoba e la prevaricazione fisica come se fosse normale attività elettorale.
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Tutto questo lo stiamo ricominciando a vedere e a vivere anche a Bari. Da quando i razzisti di casapound hanno aperto la loro sede in via Eritrea, nel rione Libertà a Bari, si è passati rapidamente dalle decine di scritte omofobe, razziste e fasciste, alle aggressioni verbali e fisiche ai danni di militanti e studenti dei collettivi autonomi e persone genericamente identificate come appartenenti o vicine all’area dell’antagonismo, agli agguati con le bombe carta alle 2 di notte per le strade del quartiere, sino alle aggressioni di stampo squadristico, in dieci “contro” due, armati di coltelli e spranghe.
L’apertura della sede di casapound a Bari coincide con il nuovo piano sicurezza del ministro del terrore Angelino Alfano. Chissà come mai ogni volta che qualcuno decide di alzare il livello di controllo e di repressione sulla gente, di riempire la strade di polizia, i fascisti si riversano per le strade, perché è in questo clima di tensione che i fascisti del terzo millennio s’insinuano, alimentando la distanza tra chi vive ai margini della società e coloro che si possono comprare una idea di futuro.
Sino ad oggi nella città di Bari, la questura, la prefettura, le autorità cittadine hanno lasciato completa agibilità a questi razzisti sino al punto tale da ritrovarci con ben 3 sedi fasciste in città, tra luoghi di ritrovo, come il covo del klan in via Benedetto Croce e l’artemisia in Via De Rossi e la sede di casapound in via Eritrea.
E’ oramai evidente che la radicazione di formazioni razziste e fasciste in città non possa più essere né concessa, né tollerata. Noi non ci siamo mai tirati indietro e siamo stati sempre nelle strade e nelle piazze per rivendicare e praticare l’antifascismo negando a costoro agibilità politica perché conosciamo la storia passata ed il presente, e non intendiamo abdicare ad un futuro dove razzismo, omofobia, intolleranza e discriminazione possano essere cancellati.
Nell’attesa che la città prenda posizione noi continueremo la nostra lotta per la chiusura di tutte le sedi fasciste in terra di Bari.

Nessuno rimarrà isolato – Mobilitazione contro la repressione in terra di Bari

Bari non è una città dove accadono molte cose, le proposte culturali e le occasioni sociali sono scarse; I giovani vanno via, non c’è lavoro e non ci sono prospettive. In questo vuoto pneumatico, a partire dal 2009, nella città di Bari è cominciato un nuovo ciclo: gruppi informali, collettivi, giovani e meno giovani hanno cominciato a riappropriarsi della pratica dell’autogestione e a fare esperienza di occupazioni. Occupazioni di spazi pubblici abbandonati a degrado e speculazioni, portati a nuova vita senza chiedere il permesso a nessuno, semplicemente perché era legittimo farlo. Dal 2009 possiamo contare ad oggi 7 occupazioni, ognuna di esse aveva uno scopo: diventare un abitativo per chi non poteva permettersi una casa, accogliere migranti, realizzare uno spazio sociale e collettivo, ognuna di loro sollevava una questione politica che altrimenti sarebbe rimasta sotto il tappeto.

Innegabile il contributo dato da questo tipo di esperienze, il cui valore culturale e politico è stato anche riconosciuto pubblicamente, molti baresi li hanno attraversati, elogiati, discussi partecipando alle centinaia di iniziative politiche, sociali e culturali promosse in questi anni. Tantissimi artisti baresi hanno cominciato a esibirsi in questi spazi, qualcuno di loro è diventato anche piuttosto famoso. Meno famosi sono coloro che questi spazi gli hanno fatti vivere con il loro impegno, coloro che vi hanno trovato accoglienza e solidarietà, nuovi legami, le loro storie non sono meno importanti.

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Oggi vi raccontiamo questo perché è dopo, quando nessuno ci pensa più, che rimangono i problemi da affrontare. Nell’ultimo anno sono stati denunciate oltre 50 persone per reati connessi a questo tipo di esperienze. 52 denunciate per il Mercato occupato, 19 per l’occupazione di Villa Roth. 7 persone per le manifestazioni contro la detenzione amministrativa nei CIE, tre persone per le manifestazioni in solidarietà con il popolo palestinese ed infine due persone sottoposte ad Avviso Orale.

Inoltre sono state denunciate 3 persone per un’azione politica collettiva riguardante la vicenda Rossani. A pochi giorni dalla scadenza del suo mandato, precisamente Il 5 giugno del 2014, Michele Emiliano incontra l’archistar Fuksas, per la firma dell’incarico di affidamento da parte del Comune del progetto di riqualificazione della Ex Caserma Rossani. Una mera speculazione edilizia che prevedeva tra l’altro la costruzione di auditorium/performance center con una capacità di circa 1000 posti.

Quel giorno decine di attivisti e occupanti dell’Ex-Caserma Liberata si presentarono al comune di Bari per chiedere conto al sindaco Emiliano delle sue scelte e per sottolineare che la volontà popolare, era quella di vedere un giorno su quell’area sorgere un parco pubblico. Sicuramente è anche grazie sa quella giornata se il progetto originale di Fuksas è stato cancellato e forse, un giorno sull’area Nord dell’Ex-Caserma Rossani sorgerà un parco pubblico. Per quell’azione, oggi lo stato chiede il conto a 3 militanti che parteciparono a quella iniziativa, pesantemente denunciati dalle autorità di polizia per diversi reati tra i quali, interruzione di pubblico servizio.

Nonsolo Marange terrà alta l’attenzione su tutte queste vicende affinchè nessuno rimanga isolato nell’affrontare la repressione, attraverso l’attivazione di un percorso comune di supporto legale sostenuto da una campagna di iniziative politiche e benefit da attuarsi nei prossimi mesi.

La Solidarietà è un’arma, la Solidarietà è una prassi.
Lunedi 23 maggio, ore 19:00 – presso il circolo ArciGramigna

Assemblea cittadina sulla repressione

Sabato 28 maggio, dalle ore 17:00 – presso l’Ex-Caserma Liberata

Incontro regionale sulla Repressione

dalle ore 22:00
STILL FIGHTING FOR FREEDOM
Reggay, rocksteady e ska contro la repressione

MAD MONKEY SELECTA meets CLEOPATRA SOUND SYSTEM

 

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Still Fighting for Freedom w/ Mad Monkey Selecta & Cleopatra Sound System

Iniziativa benefit a spostegno della campagna contro la repressione “NESSUNO RIMARRA’ ISOLATO”

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dalle ore 22:00
Mad Monkey Selecta meets Cleopatra Sound System
Dj Set All Night Long
(Calypso, Reggay, Rocksteady e Ska / Vinile 100%)

CUCINA VEGAN SOLIDALE / BANCHETTI e DISTRO

INGRESSO a SOTTOSCRIZIONE

Incontro dibattito regionale sulla repressione – 28 maggio, ore 17:00 – Ex-Caserma Liberata

Nell’ultimo anno le diverse procure della Regione Puglia hanno lanciato un duro attacco repressivo. A subirlo sono stati tutti coloro che negli ultimi anni si sono opposti alle “grandi opere” e alle speculazioni, una pioggia di denunce ha colpito chiunque abbia voluto esprimere il proprio dissenso verso le politiche governative di impoverimento sociale e di sfruttamento dei territori insieme a coloro che hanno lottato contro carceri, C.I.E. e tutti i luoghi di detenzione per la libertà di tutte e tutti.
Anche in Puglia, come nel resto del paese, alle denunce e ai processi si sono aggiunte decine e decine di misure cautelari e di prevenzione, misure interdittive ed in ultimo i decreti penali di condanna. A tutte/i coloro che sono colpite/i da questa ondata repressiva, in ultimo le 46 denunce per l’occupazione dei binari contro la truffa Xylella e 3 denunce per i compagni del Terra Rossa di Lecce, occorre dare tutta la nostra solidarietà e il nostro supporto.
Alla criminalizzazione delle istanze dal basso si può rispondere solo rilanciando la lotta. E questo può avvenire solo grazie all’organizzazione e alla consapevolezza necessaria a non farsi spaventare e limitare da queste misure, creando sistemi di reazione alla repressione che mettano in comune le esperienze e le pratiche, con l’unico scopo di permettere alla lotta di continuare, senza che nessuno venga danneggiato o rimanga isolato.
Come NONSOLO MARANGE – Cassa di Resistenza e supporto legale nel nostro primo anno di attività siamo stati al fianco degli antifascisti baresi sotto processo e stiamo avviando una campagna di mobilitazione riguardante le oltre 70 denunce ricevute in terra di Bari tutte riguardanti “reati” commessi durante azioni politiche. Inoltre abbiamo sostenuto la campagna per i detenuti del processo 15 Ottobre e ci siamo confrontati con altre realtà solidali nazionali quali Rete Evasioni e Osservatorio Repressione; grazie al confronto continuo con compagne e compagni che hanno partecipato alle nostre iniziative abbiamo maturato la necessità di essere noi stessi promotori di nuovi legami e nuove strategie per sostenere tutti coloro che sono vittima della repressione.
Per questo invitiamo tutte le realtà dei centri sociali e degli spazi occupati, delle palestre popolari, delle realtà territoriali che combattono contro le aziende che inquinano e devastano i territori, ad un pomeriggio di confronto e dibattito, incentrato sulle esperienze e sulle pratiche per essere vicini ai nostri compagni, difenderli, rivendicare con fierezza le ragioni per cui hanno e abbiamo lottato.
Il dibattito si terrà sabato 28 maggio dalle ore 17:00, negli spazi dell’Ex-Caserma Liberata di Bari

sabato prossimo, una iniziativa benefit a sostegno della campagna Scateniamoli // SCATENIAMOLI – No Expo Benefit Party alle Le Macerie – Baracche Ribelli … come sempre ci saremo con il banchetto benefit a sostegno del processo ANTIFA Bari e per promuovere la nuova campagna – Nessuno rimarrà isolato – Campagna benefit contro la repressione in terra di Bari.

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