La solidarietà è un’arma, la solidarietà è una prassi

Il 02 febbraio 2017, durante la serata, un nutrito gruppo si è riversato nelle strade adiacenti il carcere di Bari. Per circa due ore, un presidio organizzato da “Non solo marange – collettivo di mutuo soccorso e cassa di resistenza”, ha portato la propria solidarietà militante a tutti i detenuti e tutte le detenute, e ribadito l’inumanità e l’inutilità di tutte le strutture carcerarie.

Motivo pregnante di questa iniziativa è stato l’arresto di due compagni a Torino: Donato e Stefano, rei, secondo lo stato, di essersi opposti ad uno sfratto ai danni di una famiglia, hanno subito il carcere ed ora sono ai domiciliari. A loro va la nostra irriducibile solidarietà come a tutti e tutte i\le rinchiusi\e.
Due ore di emozioni arricchite dall’intervento di alcuni parenti di un recluso che hanno voluto salutare il proprio caro e dalla risposta dei detenuti e delle detenute che, all’udir dei cori, dei discorsi e della musica, hanno ribattuto accendendo pezzi di carta, salutando, urlando e applaudendo il presidio dei\delle solidali.
L’iniziativa si è conclusa con un corteo spontaneo e chiassoso per le strade del quartiere Carrassi, prolungatosi fino all’Ex-caserma liberata, che ha ribadito a voce alta la totale avversità all’oppressione sociale.
NO AI C.I.E E ALLE GALERE!
SOLIDARIETÀ A TUTTI I DETENUTI E A TUTTE LE DETENUTE!
SOLIDARIETÀ A TUTTI I MIGRANTI E LE MIGRANTI RINCHIUSE!

 

Presidio sotto le mura del carcere di Bari in solidarietà a Donato e Stefano. Contro galere e sfruttamento – Liber* Tutt* 

Mercoledì 1° Febbraio, dalle ore 19:00
Presidio sotto le mura del carcere di Bari in solidarietà a Donato e Stefano. Contro galere e sfruttamento – Liber* Tutt*

Circa tre settimane fa a 8 attivisti/e del collettivo PrendoCasa di Torino sono state inflitte misure cautelari, tra le quali la carcerazione per Donato e Stefano, ancora oggi reclusi nel carcere delle Vallette.
Misure cautelari imposte a seguito di denunce partite dopo la resistenza a uno sfratto. Un’azione di resistenza in solidarietà alla famiglia Said, colpita dall’infame articolo 610 (che prevede lo sfratto a sorpresa) e colpita sopratutto dalle mira del palazzinaro Giorgio Molino, proprietario di 2000 appartamenti a Torino, personaggio che lucra sui bisogni dei più ricattabili, dispensatore di 610, e più volte indagato per sfruttamento della prostituzione.

Nel giorno che 3 anni fà segnò l’occupazione di una parte dell’Ex-Caserma Rossani, gli attivisti e le attiviste del collettivo Ex-Caserma Liberata e di NONSOLO MARANGE, Collettivo di mutuo soccorso e cassa di resistenza, indicono un presidio sotto le mura del carcere di Bari per chiedere l’immediata liberazione di Donato e Stefano, rinchiusi nel carcere di Torino per aver difeso una famiglia dallo sfratto violento che i servi in divisa della questura di Torino hanno eseguito agli ordini del costruttore e speculatore Molino.
Contro galere e sfruttamento – Liber* Tutt*

DONATO E STEFANO LIBERI
#STOPSFRATTI #MOLINOUOMODIMERDA

Prendocasa Torino

NONSOLO MARANGE – Collettivo di mutuo soccorso e cassa di resistenza – Bari

Quelle mura che urlano libertà

Ieri, il nostro primo presidio sotto le mura del carcere di Bari, per parlare della vicenda di Carlo Saturno, giovane ventitreenne morto in quel carcere il 30 Marzo del 2011; di seguito il contributo di un compagno
Quelle mura che urlano libertà.
carlo-saturno-vive
Arriviamo come sempre in ritardo, il presidio è iniziato da poco e troviamo un bel gruppo di persone dietro lo striscione “CARLO SATURNO VIVE, siete voi ad essere i morti” … i compagni e le compagne in questi giorni hanno lavorato bene all’interno dei quartieri. Intorno il solito insensato dispiegamento di forze, sulle mura di cinta del carcere c’è un numero mai visto di guardie carcerarie che si muovono nervosamente a gruppetti. Dal microfono la storia di Carlo Saturno, uno dei tanti, troppi casi di detenuti che non escono vivi dal carcere, di “morti di stato” sui quali cala il silenzio della sottrazione sistemica che l’ordine carcerario compie sui corpi di chi fra quelle mura perde la vita.
Ad un certo punto qualcuno dall’altra parte delle mura prova a farsi sentire.
Urla, vestiti sventolati dalle grate verso l’esterno
Io e un compagno ci guardiamo dicendoci la stessa cosa: “E’ una scena che mette i brividi”; Le guardie penitenziarie si agitano e puntano un faro nella zona da cui proviene il “saluto”, un vero e proprio avvertimento mentre il presidio all’improvviso tace per alcuni secondi prima di esplodere tra urla, grida, fischi e slogan. Ci siamo ripresi per qualche secondo quelle cose fondamentali della vita che l’ipermediazione costante ci nega ovvero lo scambio e l’empatia.
Il carcere è quel luogo in cui non ti è riconosciuto nemmeno lo status di essere umano. Un banale contatto con l’esterno rappresenta un affronto troppo grosso per chi considera i prigionieri non più esseri umani ma numeri il cui destino è quello di essere irrimediabilmente estromessi dalla società. Non ho mai creduto nella funzione “rieducativa” del carcere. Nessuna riabilitazione è possibile in un sistema che si occupa solo di detenere, reprimere, isolare, talvolta persino uccidere. Le carceri italiane detengono soprattutto le classi più povere, coloro che vivono esistenze al limite perché nei quartieri dove sono cresciuti non c’erano alternative.
In quel momento il pensiero va agli amici del quartiere, alle loro scelte, alle soluzioni cercate per riscattarsi da una condizione di miseria, ai motivi che li hanno portati a trascorrere i loro anni migliori fra quelle squallide mura, in cui sei poco più che una voce dispersa nel bilancio dello stato, ai loro sguardi spenti tutte le volte che ci ritroviamo al solito bar, al sorriso amaro sui loro visi quando, come a volersi giustificare, mi dicono “forse uno mi chiama per lavorare la settimana prossima”. Perché il carcere ti fa anche questo. Intanto il presidio prosegue e una signora strappa di mano il microfono dalle mani di un compagno e urla “Assassini, vogliamo giustizia!” è la zia di Carlo che ha saputo del presidio dalle locandine affisse in tutto il quartiere ed ora è li davanti a noi con il microfono in mano. Passano i minuti tra grida, slogan e musica popolare contemporanea, la zia di Carlo prima di andare grida, “ragazzi qualunque cosa facciate io sono con voi, chiamatemi”, parole che unite a quel brivido dato da quelle urla, provenienti dall’altra parte del muro restituiscono il senso vero dei percorsi di lotta fatti di partecipazione e solidarietà.

Presidio sotto le mura del carcere di Bari

Giovedi 20 Ottobre a partire dalle ore 18:00
Presidio sotto le mura del carcere di Bari (Viale Papa Giovanni XXIII)
NON SARA’ LA MORTE A FERMARE LA TUA VOCE
Verità e giustizia per Carlo Saturno
NONSOLO MARANGE – Cassa di resistenza, supporto legale e mutuo soccorso

 

carlo-saturno-presidio

In carcere si tortura, in carcere si muore – la storia di Carlo Saturno

La fine violenta di Carlo Saturno, giovane ventitreenne morto nel carcere di Bari il 30 marzo del 2011, non è solo una storia di una morte e violenza, ma anche di coraggio e volontà.

E’ il 30 Marzo del 2011; Carlo viene rinchiuso in una cella di contenimento del carcere di Bari, dove poche ore dopo, viene ritrovato in condizioni disperate con un lenzuolo legato al collo. Carlo Saturno viene trasferito al Policlinico di Bari, dove 8 giorni più tardi verrà dichiarato morto.

Carlo entra per la prima volta in carcere, nel 2003 all’età di 14 anni nell’Istituto penale per minorenni di Lecce, dove si trova a subire ogni tipo di abuso da parte delle guardie penitenziarie, sino ai limiti della tortura. Carlo guidato da un’incrollabile volontà nel difendere la sua integrità fisica e mentale dal sistema carcerario, decide di denunciare insieme ad altri detenuti ed operatori del carcere le violenze subite. È l’unico però ad avere il coraggio di testimoniare nel processo contro 9 agenti penitenziari avviatosi nel 2007. Da qual momento la vita di Carlo diventa un inferno fatto di vessazioni, minacce, isolamento, a prescindere dalle carceri nelle quali viene trasferito: Novara, Taranto e infine Bari.

Il 30 marzo del 2011, dopo l’ennesimo scontro fisico e verbale con un agente di polizia penitenziaria del carcere di Bari, alla presenza di altri agenti e detenuti, Carlo viene rinchiuso nella cella di contenimento proprio per essersi rifiutato di piegarsi all’ennesima minaccia di trasferimento, poche ore dopo verrà trovato impiccato.

A distanza di 5 anni dalla sua morte violenta e nonostante le pressanti richieste del GIP, “di individuare gli agenti di polizia penitenziaria responsabili del pestaggio, i medici che ebbero in cura il ragazzo, gli psicologi e tutti coloro che permisero che restasse solo nella cella in cui fu trovato cadavere”, per la terza volta la procura di Bari ha chiesto l’archiviazione del caso con l’evidente volontà di non voler perseguire i responsabili della morte di Carlo. Per il magistrato inquirente non ci sono approfondimenti da fare, nè colpevoli da cercare, così come avviene per la maggior parte dei detenuti che muoiono in per “arresto cardiocircolatorio” o “suicidio”.

Il carcere è il luogo della disumanizzazione, della spersonalizzazione individuale e affettiva, della violenza e della privazione. Il carcere di Bari, se mai l’abbia avuto, ha di certo perso la sua funzione di “rieducazione” rimanendo solo un luogo di detenzione fatiscente e vetusto, sovraffollato, senza luoghi di socialità adeguati, con spazi aperti molto limitati e dove la stragrande maggioranza dei detenuti è in attesa di giudizio (267 su 348).

Noi vogliamo che la memoria di Carlo come di tutti coloro che hanno perso la vita nelle carceri rimanga viva, noi vogliamo verità e giustizia per Carlo Saturno e lo grideremo a gran voce sotto le mura del carcere di Bari, giovedi 20 Ottobre a partire dalle ore 18:00 (Viale Papa Giovanni XXIII) dove il nome di Carlo è solo uno dei tanti nomi di coloro che hanno perso la vita in quel luogo.

Villa Roth non si processa

Rilanciamo il comunicato delle compagne e dei compagni dell’esperienza abitativa di Villa Roth sotto processo

villa-roth

Sono passati quasi tre anni dalla mattina in cui l’esperienza abitativa, sociale e politica di Villa Roth è stata interrotta bruscamente dal suo sequestro. La conseguenza di un’azione legale intrapresa dalla Provincia di Bari che, appena prima di essere inglobata nella Città metropolitana, ha lasciato come ultimo gesto amministrativo lo sgombero di un’esperienza che senza dubbio aveva contribuito a migliorare non solo la vita dei precari, dei migranti, degli studenti, dei senza fissa dimora che vivevano lì, ma di tutti coloro che avevano trovato in quei luogo uno spazio comune, uno spazio di condivisione reale, una nuova famiglia.

Oggi 16 persone si trovano ad essere processate per aver preso parte a quei percorsi. Non vogliamo entrare in questa sede nel merito delle indagini e di quanto poco credibile possa essere una lista di imputati fatta un po’ a caso e che coinvolge persone che tutt’ora sono senza fissa dimora e cercano sostegno nelle strutture comunali. Siamo sempre stati consapevoli che non sarebbero state certo la questura o il tribunale i luoghi in cui l’esperienza sociale e politica di Villa Roth sarebbe stata compresa. Al contrario siamo consapevoli che il nostro vero reato non è quello per cui 16 persone sono imputate, quanto quello di aver fatto di necessità abitative e desideri una questione politica, che ha portato a produrre migliaia di pagine di indagini e a un processo che valesse come esempio puntivo per chi osasse ancora fare della propria povertà una questione politica.

Tuttavia in questa storia non manca anche dell’assurdo: cerchiamo di ripercorrerne velocemente i passi.
La Provincia di Bari, dopo aver lasciato 20 anni Villa Roth in abbandono, si rende conto che non poteva più impegnarsi nell’ottima gestione dimostrata fino a quel punto, a causa degli “abusivi” che l’hanno ristrutturata, abitata e aperta alla città: quindi li denunciano e aspettano che la giustizia faccia il suo corso.
La Provincia infatti con grande spirito di iniziativa si era decisa nel 2001 a farla diventare “Museo della Moda e del Tessuto Antico”, un progetto architettonico in grande stile che prevedeva un enorme piramide di vetro e acciaio applicata sul terrazzo, diciamo una specie di Louvre di San Pasquale. Il progetto, inspiegabilmente, è rimasto sulla carta e Villa Roth fra i rifiuti per ancora molti anni.

Il 15 Gennaio 2014, guardacaso il giorno dopo lo sgombero, la Provincia tira fuori dal cilindro un bando che “affidi l’immobile a chiunque, per fini di interesse sociale, possa essere nelle condizioni di renderlo agibile e utilizzarlo”. Come se questo non fosse già stato fatto dagli occupanti che l’avevano restituita alla città. Del resto, in due anni di attività sociali e culturali aperte e riconosciute dalla città nessuna amministrazione, provinciale o comunale che fosse, aveva mostrato alcun interesse né per la villa in sé né per l’esperienza che all’interno di quella struttura si stava producendo. Fiumi di parole e d’inchiostro si sono versati all’indomani di uno sgombero che preludeva una campagna elettorale da cui ci siamo tenuti felicemente alla larga. Il bando era ovviamente finto, con buona pace di chi pensava di ricavarci qualcosa, e si è sciolto insieme alla Provincia di Bari, trasformatasi in Città Metropolitana. Il suo ultimo gesto amministrativo è stato quello di murare col cemento porte e finestre della Villa. Nessuno ne sentirà la mancanza.

La storia continua. La Villa sarebbe rimasta vuota ancora a lungo, se nel frattempo il Comune di Bari non si fosse trovato con un’altra gatta da pelare. A causa della denuncia di Cecilia Strada, in Corso Vittorio Emanuele non si riesce più a continuare a ignorare le condizioni disumane in cui vivevano da oltre un anno i migranti accampati nella tendopoli dell’Ex Set. Quindi si decide di buttare giù i muri eretti dalla Provincia per ospitare nelle stanze della Villa almeno le famiglie con bambini e le persone con problemi di salute che si trovavano nell’Ex Set. E invece, sorpresa! La Villa non è vuota: dentro ci vivono dei senza fissa dimora privi di migliori alternative. Il Comune non affronta la faccenda e dentro la Villa viene costruito un muro che separi la zona dei “bianchi” da quella dei “neri”. Inutile dire quanto sia triste questa storia. Quanto sia ridicolo il fatto che il Comune di Bari abbia destinato la Villa per lo stesso scopo abitativo per cui oggi 16 persone vengono processate. Quanto sia vergognoso che nelle mani del “pubblico” la Villa sia destinata agli stessi scopi, ma totalmente priva di una gestione che si occupi dell’integrazione di queste persone e del miglioramento sociale e politico delle loro vite.

11 ottobre 2016. Affronteremo questo processo a testa alta, forti di un’esperienza che per due anni non solo si è preso cura di uno spazio, ma l’ha aperto alla città rendendolo un centro culturale e sociale riconosciuto, amato, attraversato. Un progetto culturale che ha ricevuto il sostegno di firme importanti che andavano dall’ex rettore Petrocelli a personaggi della cultura e dello spettacolo di fama nazionale, come Elio Germano e Franco “Bifo” Berardi, ma anche di migliaia di cittadine e cittadini comuni.
Quello che vi chiediamo è di essere con noi il pomeriggio di sabato 1° ottobre, come gesto complice e solidale, per condividere i nostri pensieri e percorsi futuri. Perché si parte e si torna insieme.

Verità e giustizia per Stefano Cucchi – No al perito massone

Stefano Cucchi fu dichiarato morto all’ospedale Pertini di Roma il 22 ottobre del 2009 come evidente conseguenza delle percosse e delle torture che subì durante la sua breve detenzione. Il primo processo Cucchi si è concluso nel 2014 con una sentenza di cassazione che ha dichiarato il parziale annullamento della sentenza di appello, che assolveva i medici imputati, e ha ordinato un nuovo processo per 5 dei 6 medici coinvolti.
Nel 2015, su espressa richiesta dei familiari, è stata aperta dalla Procura della Repubblica di Roma, una seconda inchiesta che vede “già iscritti o di imminente iscrizione nel registro degli indagati 2 militari dell’arma dei carabinieri per falsa testimonianza e altri 3 carabinieri per lesioni”.
Il giorno 24 Marzo, a Bari, presso il Policlinico avrà inizio l’incidente probatorio di questa seconda inchiesta, per “accertare la natura, l’entità e l’effettiva portata delle lesioni patite da Stefano Cucchi”
Lo Stato ha indicato due nomi per le perizie mediche sul corpo di Stefano per questi due processi:
La prima affidata a Cristina Cattaneo. Nel 2013 il risultato della perizia a lei affidata, indico la morte di Stefano come conseguenza della “sindrome da inanizione”, ossia una mancanza (o grande carenza) di alimenti e liquidi; La sua perizia non ha resistito ai successivi gradi di giudizio ed è stata confutata di recente, di fronte al pm della seconda inchiesta Giovanni Musarò, dalla testimonianza del perito radiologo Carlo Masciocchi, “perché non avrebbe individuato la frattura di una porzione della vertebra interessata dal pestaggio inflitto a Cucchi dopo l’arresto come possibile causa di morte”.
La seconda perizia, nel dicembre del 2015 viene affidata a Francesco Introna in qualità di capo del collegio dei periti che dovranno appunto, “accertare”.
Il problema è che Francesco Introna, medico legale dell’Università di Bari è un uomo di destra, nato politicamente in Alleanza Nazionale, sotto l’ala protettrice di Pinuccio Tatarella e oggi collocato con i “Fratelli d’Italia” di Ignazio La Russa, che più volte si è lasciato andare a pesanti dichiarazioni sulla morte di Stefano, escludendo a gran voce le responsabilità del corpo dell’arma dei carabinieri in questa vicenda.
Francesco Introna è stato iscritto alla Massoneria per sua stessa ammissione e soprattutto è legato da sintonia professionale con Cristina Cattaneo, anch’essa medico legale e autrice della prima perizia sul corpo di Stefano.
Nel dicembre del 2015 la famiglia Cucchi ha presentato un esposto contro la nomina di Francesco Introna che è stato respinto alla fine dello scorso gennaio. In una recente intervista, in vista dell’incidente probatorio di Bari, Ilaria Cucchi ha dichiarato la sua forte preoccupazione per il rischio che neanche in questa inchiesta giudiziaria si possa ottenere giustizia per Stefano vista l’importanza che assumono le perizie durante il percorso processuale.
Stefano non è morto per malnutrizione, Stefano è morto per tortura di stato. Chiediamo una perizia che stabilisca
VERITA’ E GIUSTIZIA PER STEFANO CUCCHI
NO AL PERITO FASCISTA E MASSONE
Giovedì 24 Marzo, dalle ore 10:00 Presidio presso l’ingresso principale del Policlinico di Bari

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Martedì 22 Marzo, ore 21:00
presso il Gramignarci di Bari e in contemporanea all’Exit di Barletta una iniziativa di controinformazione e denuncia

— VERITA’ E GIUSTIZIA PER STEFANO CUCCHI –