Retake Bari: Essi vivono (di decoro)

Da quando il decoro è diventato il cuore delle politiche urbane, appaiato al suo alter-ego cattivo, il degrado, si parla molto di certe associazioni che su base volontaria ripuliscono alcune aree delle città da scritte adesivi e manifesti abusivi. I giornali le esaltano e ne parlano come di buone pratiche che mettono ordine nella città, i politici e le istituzioni le incoraggiano, comparendo nelle foto ricordo a fianco dei ripulitori o fornendo l’attrezzatura per le pulizie. Esistono in tutta Italia, ci sono “Gli angeli del bello” a Firenze, l’associazione “Milano muri puliti”, e poi c’è l’associazione Retake, presente a Roma, Milano, Napoli, Bari e ancora altre città, che oltre alle collaborazione con enti comunali, vanta anche quella con privati come Wind, l’Università Luiss e organizzazioni di attività con altrettante importanti aziende. I volontari si definiscono retakers, e difendono i “beni comuni” (con buone pace della Ostrom e del significato di questo concetto).

La risposta alla domanda “cosa si riprendono questi retakers?” è: assolutamente nulla. L’enfasi dei retakers sul degrado mette in secondo piano le responsabilità istituzionali di chi ha creato tale degrado. E infatti sindaci, assessori, consiglieri, amministratori delegati di imprese non fanno altro che gioire di fronte a queste azioni. Il loro lavoro anziché restituire i beni pubblici alle persone rappresenta invece l’antefatto della privatizzazione e della smobilitazione del settore pubblico. Perché? Le nostre città sono sempre più abbandonate e svuotate, gli edifici cadono a pezzi, in particolare, quelli pubblici. A questa nuova ondata di “civismo” manca un elemento essenziale, senza il quale ogni intervento rischia di rappresentare solo un ottimo antidoto al senso del conflitto verso le istituzioni stesse. Il protagonismo dei cittadini viene limitato al lavoro gratuito, e propinato persino come attività di partecipazione, mentre l’idea di rivendicare finanziamenti e criteri per un settore pubblico efficiente, trasparente e libero da clientele e condizionamenti non passa più per la testa di nessuno. Si spiana la strada alla ritirata del settore pubblico, si favorisce il processo di privatizzazione e ci raccontano anche che si tratta di protagonismo della cittadinanza.

Gli enti pubblici, invece di responsabilizzare chi dovrebbe tenere in sesto la città per mestiere, attivano collaborazioni con queste associazioni al fine di pulire le pubbliche piazze incaricando gratuitamente volenterosi cittadini dotati di buste e raschietti. Si configura una sorta di “autogestione dall’alto”, per cui tale protagonismo viene di fatto gestito e strumentalizzato dagli stessi responsabili del dissesto. Da qui alla privatizzazione, poi, il passo è breve. Gli effetti collaterali di tale processo sono sotto gli occhi di tutti. Il principale avversario del retaker non è il sistema politico e istituzionale che ha scelto altre priorità rispetto alla cura del territorio ma il giovane attacchino – spesso straniero – accusato di imbrattare i beni pubblici perché attacca un adesivo su una serranda o lo zingaro che fruga nel cassonetto. Non importa se sotto casa tua hanno costruito palazzi o supermercati speculando nel modo più increscioso, non importa se ti hanno tagliato i posti all’asilo nido o se ti hanno cancellato l’unico autobus che ti porta a casa: il problema è il volantino A4 che imbratta un muro.

Sabato 4 novembre l’Università degli studi di Bari ha patrocinato uno di questi eventi che aveva come fine quello di ripulire piazza Cesare Battisti. Un nugolo di bambini, ammaestrati per la gara del pulito, hanno staccato con le loro manine i manifesti che storicamente circondano la zona dell’Ateneo. Ripetizioni, messaggi politici, iniziative pubbliche sono stati cestinati perché abusivi, in base a una tesi per la quale se un manifesto non si trova su un cartellone pubblicitario, non è autorizzato né pagante, è illegale e dunque non è altro che spazzatura “deturpante”.
La piazza raschiettata (ma per niente pulita, ci vuole ben altro che dei bambini messi al lavoro per ripulire innumerevoli anni di attacchinaggi) è stata presto ricoperta di nuovi manifesti. Prevedibile, direte voi, invece un evento in particolare ha scatenato la furia dei Retake baresi. La mattina dell’8 novembre infatti campeggiava uno striscione di carta con la scritta “le strade sicure le fanno le donne che le attraversano” della rete femminista Non una di meno. Per gli attivisti di Retake tanta comunicazione non a pagamento è troppo e in molti si scagliano contro la pagina di Non una di meno – Bari realizzando anche un video in cui, con il sottofondo dell’inno italiano, dichiarano: “le strade sicure, le strade decorose sono le strade senza affissioni abusive”. Va bene, capiamo che ognuno ha le sue priorità: c’è chi lotta contro la violenza strutturale della società e chi contro la colla, tuttavia tanto astio sembra inspiegabile.

Nella furia della loro crociata contro il degrado, raschietto alla mano, non c’è differenza fra il rifiuto e il volantino studentesco. Anzi il ragionamento sembra essere proprio l’opposto: è inconcepibile sporcare un muro per esprimere un messaggio, senza nemmeno un business di ritorno: non potete scriverlo su Facebook come tutti? La guerra all’abusivo è una guerra a chi sporca, ma soprattutto, a chi non paga. Possono tollerare la vista di centinaia di cartelloni e insegne nelle nostre città, ma non quelle abusive. Essi vivono, per citare Carpenter. Ogni scritta sul muro è depoliticizzata in quanto vandalica, ma al tempo stesso per Retake le idee politiche non mancano: «in un’epoca di crisi delle finanze pubbliche l’iniziativa privata, governata all’interno di partenariati pubblico-privati, può rappresentare un volàno straordinario nella realizzazione e nel miglioramento degli spazi urbani » dichiara nel corso dell’audizione alla Camera, dinanzi alla commissione Periferie, Rebecca Spitzmiller, co-fondatrice del movimento Retake (link) . Su questo il ministro Minniti sembra essere molto d’accordo, dato che i privati nel suo decreto sicurezza hanno accesso persino ai neo istituiti “Comitati metropolitani” per la sicurezza urbana e ha dedicato ai volontari come quelli di Retake una parte importante della legge: «coinvolgendo, mediante appositi accordi, le reti territoriali di volontari per la tutela e la salvaguardia dell’arredo urbano e favorendo l’impiego delle forze di polizia per far fronte ad esigenze straordinarie di controllo del territorio, nonché attraverso l’installazione di sistemi di videosorveglianza».

Vogliamo saperne molto di più su come sia nata questa grande storia d’amore fra i volontari del decoro e il ministero. Nel frattempo le conseguenze di questa “ideologia del decoro ” (link) sono evidenti in tutta Italia. La narrazione sul degrado è diventata un contenitore in cui vengono riversati tutti i problemi di natura sociale ed economica dei quartieri popolari e delle periferie, depoliticizzandoli e responsabilizzando le soggettività marginali del sentimento di insicurezza e del malessere emergente.

Se volete un esempio fresco abbiamo questo articolo di Gazzetta del Mezzogiorno del 9 Novembre 2017: “Sgomberato il dormitorio abusivo” “LO SCEMPIO IN CORSO ITALIA Sotto i portici i migranti a turno si sono accampati su quattro materassi, circondati da coperte e indumenti lerci e rifiuti di ogni tipo”. Queste descrizioni cosi disumanizzanti, che bypassano completamente la condizione economica di molti abitanti della nostra città, per renderli macchietta, descrivendoli come incapaci e non impossibilitati a condizioni di vita differenti è qualcosa di cui dovremmo tutti preoccuparci. In un rapporto informativo originariamente presentato al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nel 1996, Gregory H. Stanton affermò che il genocidio è un processo che si sviluppa in otto fasi che sono prevedibili: il primo stadio del genocidio è la classificazione (distinguere le persone tra “noi e loro”). Il secondo stadio è la simbolizzazione, in cui a un’intera comunità vengono dati nomi o altri simboli (gli abusivi, vi piace?). La terza fase è la disumanizzazione, in cui una parte della società nega l’umanità del gruppo preso di mira. I membri di questo gruppo sono equiparati ad animali, parassiti, insetti o a portatori di malattie.
Non vi diciamo come continuano le fasi, ma vi ricorda qualcosa?