Racconti di repressione – La passeggiata del terrore, contributi dalla terra di Bari

Questo racconto ho voluto scriverlo per condividere con compagne e compagni la mia esperienza di lotta al financo del popolo NOTAP

Ringrazio innanzitutto per la solidarietà che ho ricevuto dai compagn* e dagli attivist* del movimento NOTAP. Ciò che ho subito insieme a tanti altri è stata un aggressione a cielo aperto. E tutto questo non deve rimanere in silenzio. Le forze dell’ordine si sono accanite su di noi sia verbalmente con ingiurie e offese sessiste che fisicamente con i manganelli alla mano. Ero per terra quando ho ricevuto la prima manganellata; colpita alle spalle, mi giravo e rivolgendo lo sguardo verso l’alto vedevo la sagoma di un poliziotto che mi sferrava un secondo colpo con il manganello. D’istinto ho alzato il braccio per proteggermi. La manganellata è arrivata e se non fosse stata per la solidarietà attiva di due compagne che si trovavano vicino a me, avrebbe continuato. Il tempo per realizzare ciò che stava accadendo veniva scandito dal dolore al braccio e al gomito, tanto da non riuscire più a muoverlo nel giro di pochi secondi. Sono seduta a terra e sento le voci dei miei compagni e le urla di un dirigente di PS che camminando avanti e indietro con il manganello nella mano, fomentava i suoi sottoposti con odio e rabbia contro persone oramai immobilizzate, costrette a stare in ginocchio e con le manette ai polsi.

Intorno a noi un clima di feroce barbarie. Non ci si poteva muovere manco per prendere l’acqua dallo zaino che subito arrivava il celerino. Non è mancata la battuta squallida da parte di un agente verso una ragazza che era vicino a me: “Ti piacciono le manette eh?”. Bastardo. Dopo circa due ore siamo stati divisi in gruppi da 6/7 persone e condotti verso i blindati. All’interno del pulmino non ci si poteva avvicinare con lo sguardo al finestrino che immediatamente una guardia arrivava a chiudere la tendina per impedircelo. Durante il tragitto non mancavano le risatine tra le guardie di sottofondo. Una scena divertente eh?…

Ci hanno portato in questura e condotti in una stanza che li rappresentava tutti metaforicamente. La luce bianca e fredda dei neon rifletteva il clima intorno a noi. Abbiamo chiesto di poter andare in bagno. Anche questo è avvenuto a rilento. Seduta per terra inizio a sentire dolore alle gambe per i colpi ricevuti mentre il dolore al mio gomito aumenta. Dovevo farmi forza; avrei voluto piangere, ma non l’ho fatto perché quelle bestie non meritano soddisfazione. Niente sedie nella stanza bianca, seduta per terra per due ore su quel pavimento ghiacciato finalmente vedo una infermiera del 118. Un’altra ragazza ha il corpo a macchie violastre e nere come il mio. Se non fosse stato per un’infermiera determinata che si è imposta su una dirigente della digos saremmo rimaste in quelle condizioni per lungo tempo. Questa è stata forse la sensazione più terrificante che ho subito. L’indifferenza e il totale menefreghismo nei nostri confronti. Trascorso diverso tempo e dopo avermi foto segnalato e preso le impronte, sono riuscita a salire in ambulanza, nonostante tutti i loro tentativi di rallentare la procedura, riuscendo a portare con me il cellulare. Una volta giunta in ambulanza sono scoppiata a piangere. Avevo bisogno di tirare fuori la rabbia e il dolore contemporaneamente è stato il primo momento in cui mi sono sentita libera dopo diverse ore. In ospedale il calo emotivo della tensione era inversamente proporzionale alla preoccupazione per i miei compagni. Ero sola ma sapevo che c’erano i compagn* che pensavano a me. Non dimenticherò mai chi si è mosso per proteggermi dalla carica della polizia così come chi mi ha aiutato in questa dura vicenda. Di tutta questa storia conserverò per sempre la solidarietà ricevuta, gli abbracci e i sorrisi che ho ricevuto da chi come me ha subito una brutale repressione da parte delle forze dell’ordine e dello Stato.

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52/zona rossa. /// Il contributo di una compagna

E’ impossibile!
A che serve?
Corri corri corri.
Ma dove si va?
Vanno tutti di là
segui segui segui
non li perdere
fidati.siamo tutti insieme.
Ma non li conosco.
Fidati fidati.siamoun unico corpo con una lunga coda.
A che serve?
Troppo pochi contro troppo armati.
Nel frattempo corri corri corri corri.
Ma quello che fa?!
Rimane indietro?
Ah no! Non rimane indietro: ci fa passare. Ti conosco? no. Non ti conosco
corri corri corri corri.
A che serve?
Siamo troppo pochi, la zona rossa troppo rossa.
Fidati fidati devi fidarti.
E quella che fa? Non salta il muretto?!
Non ce la fa?!
Ah no! Ce la fa! E’ che non vuole.
E’ che preferisce stare con la compagna ferita fermata picchiata.
Ma corri corri corri corri.
Il mio fiato… non ce la faccio.
No! ce la faccio, sento il fiato delle altre, degli altri.
Ma a che serve? Lo sappiamo non ce la faremo mai contro quei cancelli.
Corri corri corri corri corri corri
e quello che fa?! Si fa manganellare?!
Ah no! È diventato un ombrello.
Ombrello per una compagna troppo piccoletta per qualsiasi manganello
e quell’altro?! torna indietro impazzito!
Ah no non torna indietro impazzito
torna indietro sì, a dire a un altro, che ha perso il fiato la speranza la pazienza, che glieli ha ritrovati lui
e infatii quell’altro riprende a correre correre correre correre correre correre correre.
Ma a che serve?
Lo sappiamo che non entreremo mai nel rosso.
E sempre meno in lontananza tra i muretti
pezzi blu di caschi e neri pezzi di manganelli.
E corro corro corriamo corriamo
ecco lo sapevo! Sono caduta distesa in mezzo ai rovi.
Dai me stessa! Alzati alzati alzati!
No non ci riesco non ce la faccio.sono troppo pesante ma quale mano.
Quale mano può fare questo? Quella di dio? Che da sola, una mano da sola mi solleva dai rovi come fossi un fazzoletto impigliato e mi rilancia nella corsa.
Solo la mano di dio ha questa forza.
Ma lo sappiamo tutti dio non è dalla parte dei ribelli.
E se non c’era la forza di dio in quella mano, poteva esserci solo quella di un compagno.
E io, da fazzoletto, ci provo ci provo a tirarmi quello ( o quella…non so) caduto dentro i rovi dietro di me.
Ma cazzo! Sono solo un fazzoletto non ce la faccio.
Ma tanto torna la mano del dio compagno a ributtare quell’altro nella corsa.
Che finisce. Solo un po’ più in là. Ma finisce.
Ora siamo tutti seduti.
(bhe veramente, ho pensato prima di tutto:seduta finalmente!)
tutt’intorno caschi blu e manganelli neri.
Ecco hai visto?! A che serviva? Siamo un animale braccato.
Uno solo però tutto insieme.
Si va bhe! Ma a che serviva eh?
A niente! Solo a sentirmi un corpo unico con questi che non conosco
e gli altri , gli altri, quelli staccati prima, dove sono?
Non li conosciamo (oppure sì) ma li rivogliamo indietro! Tutti e cinque!
Come pezzettini del nostro corpo che ci avete staccato. Pezzettini del nostro corpo che non chiamiamo per nome, perché non li chiami per nome i pezzettini del tuo corpo. Ma li ami perché sono tuoi e perché amate la stessa cosa.
Eppure hai visto?! A cosa è servito?!
A niente! Solo a respirare il coraggio di questi compagni,
viola notte del tramonto in mezzo ai muretti a secco.
Si va bene! Ma a cosa è servito?!
A niente! Solo a provare ancora la meraviglia (che a 40 anni e passa è come il cibo degli dei dei) di vedervi fuori a lottare, gridare contro l’ ordine per farci avere il boccone del conforto caldo, a noi sospesi dal mondo per 9 ore.
E’ servito? No! A niente! Solo a vedervi gioire, abbracciarci (anche a me, forte forte. Forte… che non ti conosco per niente compagna mia. E compagno mio. Che non ti conosco per niente ma amo ormai profondamente ogni ruga del tuo viso che mi coccola e stringe forte forte forse da 40 anni anche se è solo la seconda volta che ci vediamo) quando uno ad una varchiamo di nuovo quella porta

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Una passeggiata tra gli ulivi

Nell’immaginario collettivo se si pensa alla puglia senza dubbio la prima cosa che viene in mente sono gli ulivi. Una lunga interminabile distesa sempre verde che come manto argentato all’alba avvolge le nostre campagne millenarie di incanto e che al tramonto filtra cullando gli ultimi raggi di sole nell’imbarazzo di un cielo che arrossisce di vergogna dinanzi a tanta bellezza.
Tanti i poeti di tutte le epoche che non sono riusciti a sfuggire alla magia di una passeggiata ricolma di stupore innocente che fluisce in poesie divenute pietre miliari della cultura mondiale.
Tutto questo oggi giorno non è più possibile e quindi accade che dei poeti partecipino ad una passeggiata collettiva tra le campagne in un’area patrimonio dell’umanità, in cui sta sorgendo il cantiere di un gasdotto chiamato T.A.P., sognatori armati fino ai denti di blocchetto, penna e poesie già stampate da appendere sugli ulivi al fine di creare una connessione, uno scambio, poetico, un ricongiungimento con la natura madre basato sulla bellezza e sulla poesia (piccole follie dei poeti erranti) e si passi dallo stupore all’orrore di una caccia all’uomo spietata e irragionevole.
Circondati da centinaia di agenti di un po’ tutte le forze dell’ordine in assetto da guerra, braccati anche attraverso l’utilizzo di un elicottero che stazionava così basso da poter percepire il vento d’odio sulle nostre teste inermi e sconcertate.
Picchiati, trascinati su rovi e pietre acuminate, chiaramente se eri donna non mancavano violenze sessiste, telefoni sequestrati senza nessuna possibilità di contattare avvocati o familiari, chi provava a parlare veniva zittito con schiaffi e testate, ammanettati e reclusi in stato di fermo per circa 12 ore, azzerata ogni forma di diritto e democrazia.
Parliamo sempre di poeti e cittadini inermi, tra cui anche dei minorenni, qualcosa non torna nella logica. Possibile che la linea che divide lo stupore dall’orrore si sia assottigliata così tanto da farli divenire facilmente interscambiabili?
Spesso ci indigniamo vedendo immagini o leggendo articoli riguardo a zone di guerra lontane dalla nostra quotidianità pensando che certe situazioni non ci riguarderanno perché viviamo in uno stato democratico che si basa sul diritto e sulla priorità di garantire la libertà e il benessere dei propri cittadini, ma forse questo utopico immaginario appartiene a un passato mai realmente esistito.
In Puglia nel 2017 si arrestano e si perseguitano sia i poeti che la poesia, come nelle pagine più buie della storia umana che credevamo intrappolata nella polvere dei libri di storia, ma la bellezza veglia sulle anime che la ricercano e non c’è nulla sotto o sopra questo cielo che potrà mai separare il poeta dal fascino, dalla magia e dalla’amore per la propria terra quand’anche gli vengano schierati contro tutti gli eserciti del mondo.

Amor che non s’arresta

Per amor della mia terra
calpesterò il sentiero della ribellione
e non vi sarà pistola o scudo o manganello o cella angusta
che fiaccherà lo spirito del guerriero.
Il sole della libertà illumina coi suoi raggi
anche tra rovi e pietre acuminate
che come vento tagliente sferzano il volto
e non lo fermi nemmeno se gli spari addosso,
anche nel buio che incombe
e l’ombra lunga della repressione infittisce la via per nascondere i fossi
e non lo fermi nemmeno se gli spari addosso,
anche quando fari e torce brillano nei campi
come fuochi fatui per terrorizzare
e non lo fermi nemmeno se gli spari addosso.
Avete dichiarato aperta la stagione della caccia all’uomo,
vile gioco di cui siete maestri,
e nella vostra perversione mi avete scaraventato
tra l’incudine e il martello
ma a ogni colpo che fiacca le ossa
sprigiono una scintilla da cui divamperà l’incendio
che divorerà i vostri eserciti.
Un giorno, non troppo lontano,
assieme a tutti il fratelli, assieme a tutte le sorelle,
di un mondo libero, in una terra libera,
saremo un unico popolo in lotta
che canterà l’inno della rivoluzione, l’inno della vita,
e saremo finalmente liberi dal male, liberi dal capitale.

Brigate Poeti Rivoluzionari

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Comunicato di Ex-caserma Liberata e Collettivo Athena – Bari

Porteremo la lotta NOTAP ovunque.

Siamo stanchi ma per nulla scoraggiati, torniamo da una giornata di dura lotta. Siamo arrivati a Melendugno, dopo essere stati a Lecce il giorno prima, assieme ad altri compagni e compagne baresi per portare il nostro supporto alle manifestazioni NO TAP contro repressione e militarizzazione dei territori.

Lecce – 8 dicembre 2017 – corteo contro la repressione e i fogli di via
Il nostro sarebbe stato un resoconto differente se non avessimo incontrato sul nostro percorso 1 elicottero, centinaia di uomini e donne delle FDO, oltre a camionette, blindati e auto usate per aggredire militarmente 52 fra compagni e compagne, di cui 3 minorenni, che passeggiavano fuori dalla zona rossa istituita dallo stato nell’agro di Melendugno, a difesa degli interessi e del cantiere di TAP.
Ci siamo ritrovati isolati ed inseguiti dalla polizia in assetto antisommossa sino a quando non siamo stati circondati e a quel punto sequestrati per oltre due ore nelle campagne. Cariche e pestaggi, compagne colpite a terra, compagni ammanettati e costretti a stare in ginocchio e mentre l’elicottero ci sorvolava ci venivano sottratti documenti e cellulari e tutti coloro che intendevano reagire venivano da subito colpiti con i manganelli e ridotti al silenzio. Dopo oltre due ore di attesa siamo stati divisi in gruppi e deportati a Lecce tra questura e comando dei carabinieri dove siamo rimasti per oltre 8 ore per le fotosegnalazioni e le impronte digitali senza la possibilità di poter usare i servizi igienici, bere o avere assistenza sanitaria: due attiviste hanno avuto la possibilità di accedere alle cure mediche solo dopo il deciso intervento di una infermiera del 118 nei confronti di una dirigente della Digos mentre il bagno veniva concesso solo in base all’umore della guardia di turno. Compagne e compagni portati al comando dei carabinieri sono stati sottoposti a invadenti perquisizioni corporali mentre le compagne hanno dovuto subire insulti sessisti e commenti su biancheria intima e orientamenti sessuali. Solo dopo le due di notte abbiamo avuto la possibilità di riabbracciare i/le nostr* compagn* dai quali eravamo separati solo da un muro e quindi di riabbracciare tutti gli attivisti e le attiviste che ci attendevano in strada. Cellulari sequestrati senza motivi plausibili oltre ad alcuni k-way con il cappuccio, un pericolosissimo cavatappi, un letale coltellino multiuso e qualche volantino, questo il bottino di guerra delle forze del ordine. Siamo riusciti a recuperare le nostre macchine in tarda nottata per metterci in strada e arrivare a Bari alle 6 di mattino, stanchi ma carichi e determinati.

Come compagni e compagne di Ex-Caserma Liberata e collettivo Athena, al fianco del popolo NOTAP, ribadiamo che non sarà la repressione a fermare la lotta per la tutela del nostro territorio dagli interessi di imprese e multinazionali, non saranno i vostri comportamenti cileni a scoraggiare la nostra determinazione contro un’opera dannosa per tutti, tranne per coloro che trarranno profitto dalla devastazione della nostra terra.

Rigettiamo le ricostruzioni fantasiose di giornali e telegiornali che riportano solo le veline della questura di Lecce. Non è stata mai violata la zona rossa così come se uomini e donne delle FDO sono rimasti feriti durante le cariche questo è dovuto esclusivamente alla loro incapacità di stare su due piedi mentre scavalcano i muretti a secco. Menzogne scritte per mettere in scena il solito teatrino dei buoni e dei cattivi, mentre quanto accaduto nei giorni scorsi è la dimostrazione che la lotta contro TAP è una lotta di popolo dove uomini, donne e bambini marciano compatti in un’unica direzione. La zona rossa non esiste.
Porteremo la lotta NOTAP ovunque.
Ex-Caserma Liberata
Collettivo Athena

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